Profughi, una giornata di blocchi e proteste

Non volevano essere trasferiti nel Lazio. Lungo braccio di ferro con la polizia Chiusa per sette ore via Carducci. Solo in serata sono saliti sul pullman


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Il «braccio di ferro» è durato un’intera giornata. Alla fine hanno avuto la meglio l’enorme lavoro di convincimento degli operatori della Caritas e la pazienza (con estrema professionalità) delle forze di polizia che hanno sempre controllato la situazione evitando di creare tensioni. Dei 39 profughi approdati sei mesi fa in Alto Adige dopo un viaggio della disperazione dal Ghana e dal Gambia, 38 hanno accettato di salire sul pullman per essere trasferiti nelle nuove strutture di accoglienza a cui sono stati destinati nel Lazio. Uno solo è rimasto per il momento a Bolzano. Non è senza un tetto. Ieri sera è stato ospitato nell’abitazione della fidanzata. Se non vorrà perdere i trattamenti previsti dal programma nazionale di assistenza dovrà raggiungere le nuove strutture entro un paio di settimane. In caso contrario dovrà arrangiarsi e nell’impossibilità di fornire un domicilio rischia di veder svanire anche Quella di ieri non è stata una giornata facile per chi è stato chiamato a gestire il trasferimento di questo gruppo di profughi, tutti giovani uomini scappati da scenari aree di guerra o da dittature feroci. Un viaggio della speranza che ha portato in molti a rischiare la vita dapprima per attraversare la Libia poi per raggiungere le coste di Lampedusa su un barcone. Trasportati a Bolzano dopo qualche settimana trascorsa nei centri di prima accoglienza, sono stati sistemati dapprima all’ex Gorio poi nell’ex casa di riposo di via Carducci 19. Ed è proprio qui che tutti hanno maturato l’idea di attendere a Bolzano l’esito della domanda di asilo politico non sapendo che in realtà Bolzano non avrebbe mai potuto ospitarli per più di sei mesi in quanto le strutture esistenti sono destinate solo ad un primo periodo di accoglienza e di assistenza. La questione è sostanzialmente politica. La Provincia non ha voluto che l’Alto Adige fosse sede di uno «Sprar» ( Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che prevede un livello di assistenza più esteso teso non al superamento di un periodo di emergenza ma all’integrazione del rifugiato in un contesto sociale considerato più adatto. E’ sulla base di questo programma di gestione dell’immigrazione che i 39 profughi di Bolzano hanno saputo ieri mattina, poco dopo le sei, di dover preparare i bagagli per essere trasferiti nel Lazio, alcuni a Roma, altri ad Arce e Cassino in provincia di Frosinone. Ad avvisarli, ancora nel sonno, sono stati alcuni agenti di polizia accompagnati dagli operatori della Caritas. Proprio temendo un rifiuto netto, il trasferimento non era stato preannunciato per evitare posizioni di contrasto concordate. Ma la reazione è stata comunque concorde e si è arrivati ben presto al blocco e al muro contro muro. Nessuno dei 39 si è detto d’accordo a lasciare Bolzano e ad abbandonare quel faticoso inizio di vita normale fatto anche di qualche amicizia, di impegni sportivi (soprattutto nel calcio locale) e culturali (con la frequenza di corsi per l’apprendimento della lingua tedesca). A far da collante una buona dose di diffidenza con la paura di essere «scaricati» e di dover iniziare da capo l’iter per ottenere lo status di rifugiato per motivi umanitari. In tutte le maniere si cercato di evitare tensioni e di convincere i profughi a seguire le disposizioni, nel loro stesso interesse. A tutti , come richiesto, la Questura ha consegnato un attestato in lingua inglese in cui veniva confermato al singolo profugo che la pratica per il rilascio dello status di rifugiato (al vaglio presso la commissione di Gorizia) sarebbe proseguita regolarmente. L’assicurazione non è però bastata. Nel frattempo a tutti è stato imposto di liberare i locali dell’ex casa di riposo di via Carducci con l’avviso che nessuno avrebbe potuto farvi ritorno per la notte successiva. Poco dopo mezzogiorno in quattro, dopo aver lungo parlato con le operatrici della Caritas, sono saliti sul pullman mentre i più riottosi hanno organizzato un momento di preghiera musulmana nel piccolo cortile di via Carducci. Alla fine , dopo un pomeriggio di «trattative» (è intervenuto anche Luca Critelli, direttore della ripartizione politiche sociali della Provincia), il fronte ha ceduto.

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