Proporzionale strabica

di Paolo Campostrini


Paolo Campostrini


Anche se si è sicuri di perderle, ci sono battaglie che meritano di essere combattute. Quella sui nomi per i toponimi (i due provinciali da affiancare a quelli statali per la commissione Fitto) era una di queste. Non servivano eroi. Ma è servito dire no. Tommasini e Bizzo avevano chiara la marginalità dello scontro (per la salute della coalizione) e la sua asetticità (in termini di conseguenze personali). Un no di bandiera. Ma di questi tempi e da queste parti anche le bandiere hanno la loro importanza. E comunque si è trattato di sottolineare un principio: l’Alto Adige non è «tout court» tedesco. Ci sono anche gli italiani. E gli italiani non sono tutti e non sono solo «statali». Per Durnwalder e l’Svp, invece, da una parte ci sta Roma con tutti noi, dall’altra Bolzano con tutti loro. Ragionano come Magnago: che ragionava così cinquant’anni fa. Cinquant’anni dopo sembra abbiano ancora davanti il «lodo» Benedikter: dei tedeschi si sarebbe occupato lui, e la Provincia; agli italiani ci avrebbe pensato il governo. Questo schema che considera gli altoatesini tutelati da Roma e i sudtirolesi da Vienna impedisce di vedere come siano cambiati menti e cuori.
Come l’autonomia lo abbia fatto ben oltre lo sguardo di Palazzo Widmann; e di elaborare una decente «exit strategy» dal magma etnico novecentesco. Durnwalder, quando parla di proporzionale nei posti apicali chiarisce bene quanto lo schema ancora sopravviva. A chi gli chiede di estendere il riequilibrio tra i gruppi lui risponde così: «E’ giusto che tutte le presidenze degli enti provinciali vadano ai tedeschi, gli italiani hanno già questore e commissario del governo». Durnwalder non sa uscire dal suo strabismo: in realtà Roma manda i questori in base a logiche nazionali mentre le presidenze provinciali apparterrebbero proporzionalmente a tutti gli altoatesini/sudtirolesi. E’ uno strabismo gravido di conseguanze politiche. Perchè impedisce agli italiani di uscire dalla sindrome dell’accerchiamento. Tentano di liberarsene (col bilinguismo nelle scuole, la fedeltà ai principi autonomistici, lo spirito di convivenza, l’apertura ai vicini) ma ogni volta vengono rigettati nel loro cortile: quando si tratta di argomenti sensibili decidono i tedeschi. Fitto, a questo proposito, ci ha dato una lezione. Oltre alla «bolzanina» De Carlini ha nominato in commissione l’avvocato Denicolò (che per inciso si è dichiarato tedesco) la cui cultura giuridica e politica è lontana anni luce da qualsiasi sospetto di irredentismo toponomastico. E’ uno che ama la sua terra e ne conosce le sensibilità glottologiche più di ogni altro. Quella in commissione non avrebbe dovuto essere un confronto tra nazionalisti e autonomisti e la decisione di Fitto ha confermato questa cornice. La Provincia avrebbe potuto respondere ponendosi sullo stesso piano. Non lo ha fatto. Non si fida neppure degli italiani di provata fede autonomista. In sostanza, non si fida degli italiani. Li ritiene ancora una fragile propaggine del centralismo statalista, una colonia isolata di cittadini inquieti. Forse è così. Ma forse, continuando a non puntare su di loro come partner a pieno titolo, così resteranno sempre













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