Quando Durni faceva l’anti-italiano

La «doppia» immagine del potenziale candidato: dagli applausi nei quartieri allo scontro su Unità d’Italia e toponimi


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Durnwalder ora scalda colla: «Nei quartieri italiani mi amano», dice strizzando l’occhio alla sua candidatura a sindaco. Ma è stato anche il governatore che ha puntato i piedi sull’unità d’Italia e sulla toponomastica. Mettendo insieme tutte le elezioni in cui si è presentato in 25 anni, ha preso 548.197 voti. In mezzo, ci saranno stati di sicuro qualche migliaio di italiani. Ha ricevuto gente, aprendo le porte del suo ufficio dalle 6 di mattina, per 3.900 giorni. Gli italiani erano in netta minoranza, ma forse non tanto per colpa sua, quanto per l'orario antelucano. Ha inaugurato 150 caserme dei vigili del fuoco, e lì non ci piove a favore di chi. Ma ha anche inaugurato tutte le stagioni dell'italianissima Upad: quando ci entrava, le signore lo guardavano come si guarda il Papa. Ha preso più baci tra la terza età che ai concorsi di miss Südtirol. Insomma, passerà alla storia come il primo Landeshauptmann post etnico. Un Kaiser-imperatore.

Dice spesso: «Ho salvato le Acciaierie italiane». Ma lì c'erano anche i vecchi Dc che lo tempestavano di telefonate: «Attento, non far saltare gli equilibri etnici in zona...». Agli equilibri re Luis è sempre stato attento. Ma qualche volta ha avuto i suoi riflessi condizionati. Adesso che potrebbe candidarsi a sindaco di Bolzano più che a Bürgermeister, che passa per il più amato dagli italiani e naviga di stretta di mano in stretta di mano ideale in quartieri in cui non avrà mai messo piede, sembrano lontane le sue parole rivolte a Napolitano: «Signor presidente, noi ci sentiamo tedeschi e con l'unità d'Italia c'entriamo come i cavoli a merenda». Sembra un secolo fa. Era invece ieri. Il 7 febbraio 2011 annuncia che non sarà a Roma per i festeggiamenti tricolore. Il 10 febbraio Giorgio Napolitano gli scrive: «Caro Landeshauptmann, sono sorpreso e rammaricato. Dovrebbe ricordarsi che lei rappresenta tutti gli abitanti della provincia di Bolzano e non solo la minoranza austriaca, come lei afferma...». L'11, a stretto giro, Durni gli risponde: «Non ho nulla da festeggiare. Nel 1919 non ci è stato chiesto il nostro parere sull'adesione all'Italia. Ci sentiamo tedeschi. Se vogliono, a Roma, ci vadano gli assessori italiani ma la Provincia non ci andrà». Punto. Un "nein danke" che fece scalpore. E che tanti italiani democratici, Pd in testa, vissero con non poco disagio. Lo stesso anno, in aprile, Durnwalder era intento a stilare, con l'allora ministro Raffaele Fitto, un patto parasegreto sulla toponomastica. Via quel nome, via quell'altro in italiano. Sarebbero dovuti rimanere monolingui (solo in tedesco) almeno il 10% dei toponimi. «Uno schiaffo alla convivenza», era stato definito quel patto. Magari non tanto per i contenuti, quanto per il fatto che i partiti italiani a Bolzano fossero stati tenuti all'oscuro. Ma il lavoro era stato fatto bene. Tanto che nel 2013, Graziano Delrio smussa gli angoli, dopo qualche vertice sempre con Luis e afferma che, in fondo, dovrebbero essere monolingui ( in tedesco) "soltanto" 132 cartelli su un po' più di mille bilingui. L'Alpenverein aveva avviato la pulizia «etnica» dei cartelli. Con Durnwalder a dire: aspettiamo che invecchino quei cartelli, poi li togliamo... Sempre in quell'annus horribilis, il 2011, il 31 gennaio, Durnwalder è alle prese con il fregio del duce a cavallo. Politici in fibrillazione, sovrintendenze allertate, destra italiana e non solo per una volta, preoccupata dai possibili colpi di mano. E il Landeshauptmann comunica: «Il bassorilievo va tolto e portato in un museo o a Roma». Stessa sorte prefigura per il monumento all'Alpino di Brunico. Successivamente, devia sulla copertura. Ma sempre con una gran voglia di toglierseli di torno. Lui è così, vorrebbe sempre prima decidere e poi consultarsi, nel caso. Anche per Bolzano non stravedeva, secondo i suoi contemporanei in municipio. Ricorda Sandro Repetto: «Adesso dice che ama Bolzano, ma nei primi anni Novanta eravamo spesso a Palazzo Widmann io e Salghetti e non ci sembrava proprio che la amasse. C'era l'arginale da mettere in piedi ma lui niente, non ha tirato fuori una lira». E infatti l'arginale se la paga tutta il Comune. Poi si sarebbe dovuto raddoppiarla. E anche lì, arriva il niet di Durni. «Insomma - ricorda Repetto- lui finanziava tutte le strade della provincia meno le nostre. Per giustificarsi disse: l'arginale la considero solo una strada intercomunale». E anche il raddoppio, senza i soldi provinciali, andò in cavalleria. In compenso, arrivarono l'Eurac, la Lub, il nuovo teatro. Ma tutti luoghi di stretta competenza provinciale. Lì dentro il Comune è straniero in patria.

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