Quelli che tifano Scozia: «Se vincono, tocca al Sudtirolo»

Un gruppo di Schützen è già ad Edimbrugo per fare il tifo La croce di Sant’Andrea a Bolzano. “I prossimi siamo noi”


di Paolo Campostrini


BOLZANO. La regina ha detto: «Pensateci bene». E in molti lo faranno, oltre il Vallo di Adriano. Loro invece non ci penserebbero un istante, neanche se lo chiedesse il Kaiser. «Subito l'indipendenza . Poche storie». E se vincono i no? «Vinceranno. E se non vincessero non importa. A noi importa mostrare ai nostri che si può fare. Che la Selbstbestimmung non è un sogno impossibile». Loro sono gli Schützen. Ieri hanno piegato la bandiera del Sacro Cuore, l'hanno riposta in valigia e sono partiti. Destinazione Edimburgo. I militanti di Heimatbund e Südtiroler Freiheit si fanno fotografare in piazza Walther con la bandiera scozzese accanto a quella tirolese.

Herr Komandant ma voi che c'entrate con la Scozia? «Che c'entriamo? Siamo fratelli sotto padrone. E se ce l'hanno fatta loro a imporre il referendum - dice Elmar Thaler- ce la possiamo fare anche noi». Ecco il nuovo mantra degli oppressi figli dell'autonomia in cammino: yes, we can. Possiamo. Si può. E' possibile. Non ce la raccontate più con queste storie sulla Costituzione, i confini europei e l'egoismo delle piccole patrie. «Ve le ricordate quei signori?». Chi, Herr Lang? «Quelli della Svp. E poi i partiti italiani: no, l'Europa non lo permetterà, le leggi non lo consentono, lo Stato, la commissione, Bruxelles... La Scozia può restare con l'Inghilterra o starsene da sola, ma quello che conta è che si vota. Ecco cosa è cambiato. Ma come, loro sì e qui no?». Roland Lang non è partito con la sua Heitmatbund. L'aereo costa. E anche con gli alberghi non si risparmia neppure un penny. Gli scozzesi, liberi o no, sono pur sempre scozzesi, anche con i fratelli sudtirolesi. «Lavoriamo tutti - spiega- e non possiamo permettercelo. Ma col cuore siamo lassù». Dal cuore alla politica, questo è il salto di qualità anche del dibattito qui. Un passo breve. Più stretto del fiume Tweed che divide la Scozia dalla dolce Inghilterra. Sì o no. Anche un solo voto in più e la storia cambia corso. Trecento anni di storia comune, di reggimenti scozzesi a fianco di quelli gallesi e inglesi a conquistare l'impero cancellati con un tratto di penna. «E' questo che non mi convince - dice Francesco Palermo - non mi convince che una minoranza e un quesito troppo semplice facciano da arbitro su una questione così complessa. Sono affascinato dall'anelito all'indipendenza ma totalmente contrario all'uso del referendum in questi casi». Palermo parla da esperto di federalismo, costituzionalista e studioso delle minoranze più che da senatore Pd-Svp. E chiarisce: «Sembra tutto molto democratico. Ma non lo è. Anche in Scozia il quesito secco lascia sospese una serie di tappe intermedie. I livelli di autonomia ancora possibili, quelli che medierebbero una indipendenza magari con la stessa moneta o restando nella difesa comune». Ma molti useranno la spada di Braveheart anche a sud del vallo del Brennero... «Lo so. E ci spettano mesi difficili se vinceranno i sì. Ma insisto. E proprio alla luce delle nostre questioni, anche l'orizzonte dell'autodeterminazione andrebbe perseguito attraverso l'uso di maggioranze qualificate, di marce d'avvicinamento giuridiche, di adattamenti successivi, consultazioni intermedie. E soprattutto ascoltando le minoranze. Lunghi tempi di dialogo e messe a punto. Ma così no, così c'è di mezzo solo la pancia. E basta un giorno di sole o di pioggia per cambiare le carte in tavola...». E' il dubbio che attanaglia anche molti scozzesi non affetti da pregiudiziali anti indipendentiste. Ha scritto lo storico Niall Ferguson: «Il parlamentarismo, le libertà individuali, il libero mercato, il rispetto dell'individuo sono la grammatica della nostra civiltà occidentale oggi. Ma è il prodotto del lavoro di scozzesi, inglesi e irlandesi insieme negli ultimi trecento anni. Non riusciremo mai a distinguere il lavoro degli uni da quello degli altri». E' questa semplificazione, dunque, che spaventa anche Palermo. Un sì o un no, anche in Alto Adige, lascerebbero ignorate vastissime zone di convivenze e storie comuni. Questioni che neppure sfiorano i nipotini di Hofer ridipinto col gonnellino dei Clan. «Maggioranze qualificate? Non scherziamo - insiste Roland Lang - In democrazia basta un voto. Se c'è quel voto si vince altrimenti si perde». Ma che succede a Bolzano se lo Scottish National Party vince la sua battaglia? Sarà guerra aperta tra i sì e i no alla Selbstbestimmung? Elmar Thaler, mentre sta ripiegando l'ultimo paio di Lederhosen da mostrare al mondo accanto alla croce di Sant'Andrea è tranquillo: «Perché guerra? Non c'è bisogno. Noi andremo ovunque a chiedere il diritto di fare come in Scozia. Diremo semplicemente: votiamo. Ora si può. E vinca chi ce la farà. Non vogliamo stare in terza classe con l'Italia di Renzi». Ecco risolta la questione altoatesina. Una semplificazione che spaventa molta politica. Non Südtirol Freiheit, anch'essa dipinta di bianco e blu. Ma dalla quale la Svp, per bocca anche di Kompatscher, ha subito preso le distanze. Ma se l'autonomia è in cammino, chi può dire che la prossima stazione non sia ancora oltre quella della Vollautonomie?













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