Radiologia in 10 anni ha perso 16 specialisti 

Stevanin, ex responsabile Senologia, ha lasciato 3 anni fa: non condividevo l’organizzazione del lavoro



BOLZANO. “Mi spiace per quel che sta succedendo alla Senologia del San Maurizio. Ma era facilmente prevedibile che sarebbe andata così». Carmen Stevanin, radiologa dal 1993 al San Maurizio in Senologia e dal 2004 al 2015 responsabile della Senologia diagnostica dell’ospedale di Bolzano portata alla certificazione europea, e prima ancora, radioterapista oncologica alla clinica universitaria di Padova ed all’ospedale di Rovigo - spiega che nel 2015 ha scelto a malincuore di lasciare l’ospedale di Bolzano. «Ho approfittato dell’”opzione donna” e sono andata in pensione prima del tempo. Il lavoro mi piace molto e continuo a svolgerlo in una struttura privata... ma tre anni fa ho sentito forte la necessità di voltare pagina. Non me la sentivo più di lavorare in ospedale. E questo perchè non condividevo più l’organizzazione del lavoro. Per molti anni - come responsabile della Senologia ho insistito sull’assoluta necessità di creare anche in Alto Adige una struttura dedicata alla diagnosi ed alla terapia del tumore al seno, visto che la patologia è in aumento in tutto il mondo ed anche da noi. Chiedevo una diversa gestione del lavoro, una riorganizzazione complessiva, un potenziamento della struttura e di avere anche più personale dedicato. Questa è una branca in cui non si può improvvisare, le risorse umane devono essere formate e dedicate a questo specifica attività. Ma mi è sempre stato risposto - sia dai primari che dal capo dipartimento - che non serviva nulla di tutto questo e che l’Asl sarebbe andata avanti con il decentramento. In estrema sintesi, che ogni ospedale dell’Alto Adige sarebbe andato avanti da solo com’è sempre stato».

Stevanin assolve - ma solo in parte - la politica.

«Certo, perchè i medici che stanno ai vertici dell’Asl - e ce ne sono - devono saper dire anche cose che appaiono scomode a chi governa. E battersi per la salute della popolazione tutta e dei pazienti. E poi la riorganizzazione non avrebbe penalizzato gli ospedali di periferia... si trattava solo di ripensare diversamente il lavoro - ottimizzandolo soprattutto nell’ottica di fornire un miglior servizio al paziente (più esperienza uguale a maggior accuratezza diagnostica) - ed ognuno avrebbe continuato a fare la sua parte. Ma forse c’è stato anche chi ha temuto di perdere posizioni e così si è andati avanti a decentrare». Nella maggioranza delle altre realtà ospedaliere, ad esempio nella vicina provincia di Trento, si è scelto di svoltare creando un centro unico di riferimento per tutta la provincia. «Sì ma attenzione perchè non è “il modello Trento”, ma oggi come oggi, seguendo le linee guida nazionali ed internazionali, è l’unico modello possibile per garantire percorsi diagnostico-terapeutici omogenei e il mantenimento degli standard di qualità europei, peraltro raggiunti dal reparto di Bolzano». L’Unità Operativa di Senologia di Trento garantisce la diagnosi (ai vari livelli della patologia mammaria) alle donne di tutto il Trentino e garantisce il programma di screening (per ridurne la mortalità) a tutte le donne tra i 50 e i 69 anni. Tra gli obiettivi specifici Trento punta nella sua unica struttura superspecialistica alla diagnosi precoce delle forme neoplastiche della mammella, e a raggiungere una copertura superiore al 65 % della popolazione bersaglio ed a migliorare la percentuale dei tumori scoperti in fase precoce T0-T1 ed a ridurre quella dei tumori in fase tardiva T3-T4. E l’Alto Adige? «Decentra nei sette ospedali, non unisce le forze per creare una struttura unica che sia di riferimento a tutte le donne della provincia. E in questo scenario i migliori radiologi vanno altrove. Negli ultimi 10 anni ben 16 radiologi hanno scelto di lasciare il reparto di Radiologia di Bolzano, non per andare in pensione, ma per lavorare altrove, un numero così elevato di defezioni dovrebbe far riflettere i piani alti. Quindi in un momento difficile come questo, di grave carenza di specialisti in tante branche, un ospedale deve tenersi stretti i propri professionisti formati. E ce ne sono tanti. Deve motivarli, incentivarli, non solo economicamente e concedere loro anche dell’autonomia decisionale. Non farli scappare. Io non sono stata sostenuta, mi è pure sembrato che mi mettessero i bastoni tra le ruote». Secondo lei c’è spazio per migliorare? «Sì è perso tanto tempo. I miei consigli risalgono a dieci anni fa».

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