Randi: «Quella di Spagnolli è una scelta d’interesse»

Primarie Pd, l’assessore contrattacca: «Gigi non doveva schierarsi con Di Fede Ma adesso punta al terzo mandato da sindaco e costruisce alleanze»


di Francesca Gonzato


BOLZANO. Luigi Spagnolli e il suo assessore Mauro Randi. Amici da una vita, impegnati nello stesso partito, il Pd, ma ora contrapposti su fronti così incomunicabili, da fare assomigliare la sfida sul segretario provinciale tra Liliana Di Fede, Mauro Randi e Luisa Gnecchi a una vera e propria resa dei conti. Luigi Spagnolli è il capolista bolzanino di Liliana Di Fede. Ha scelto il progetto che considera vincente e convincente. Il gruppo di Randi, secondo Spagnolli, è animato da «una volontà di rivalsa». Il pacato, cattolico Randi, candidato dai circoli Renzi, replica. Non alza la voce, ma le parole pesano. Appuntamento il 16 febbraio con le primarie aperte a iscritti e non iscritti. Intanto ancora silenzio da Roma sulle regole controverse sui collegi.

Randi il perdente?

«Il nostro progetto è recuperare alla politica una parte di elettorato che ci ha abbandonato. Se riusciamo a riagganciare la popolazione, questo non è perdere. Per questo sono in giunta comunale, perché penso che la politica sia il luogo in cui si portano i problemi e si prova a risolverli. Nel Pd però non siamo abituati a discutere, che sia il progetto Benko o il welfare. Ma secondo Spagnolli rappresento una linea politica che non merita di essere sostenuta».

Cosa ha pensato quando Spagnolli si è schierato con Liliana Di Fede? Finora il sindaco non si era esposto nelle sfide interne al partito.

«Che ha degli interessi per mettersi in gioco. Vedo che si sta parlando di terzo mandato come sindaco e mi permetto di trarre delle conclusioni. Spagnolli ha sempre dichiarato che come primo cittadino non si sarebbe schierato, si è sempre dichiarato contrario alle primarie, tanto che in vista del secondo mandato si rifiutò di sottoporsi a questo strumento. Cambiare idea si può, ma bisogna spiegarne i motivi. E per restare alla coerenza, nel gruppo di Liliana Di Fede ci sono molte persone che nella sfida Renzi-Bersani si schierarono con Bersani e ora sono altrettanto convintamente dalla parte di Renzi».

Liliana Di Fede porta avanti il progetto di Pd plurilingue. Voi puntate più sull’elettorato italiano. Non è una visione superata?

«Mi sembra più attuale che mai. Alle provinciali qual è la parte di elettorato che più ha disertato i seggi? Il gruppo italiano. Dobbiamo recuperarlo, altrimenti ogni legge o provvedimento verrà travisato, perché una parte di cittadini che si sentirà fuori dai giochi».

Vi accusano di avere cercato lo scontro a tutti i costi, di andare alla conta finale.

«La famosa voglia di rivalsa. È l’interpretazione che loro danno, perché non capiscono che la mia proposta è di apertura totale. Non ho indicato alcun vicesegretario, e non per caso. Il mio non è un progetto chiuso, mentre lo è quello del gruppo di Liliana Di Fede, che si è presentato con tutte le caselle già riempite. Il messaggio che lanciano è: il pacchetto è già confezionato, gli altri sono tagliati fuori».

Chiunque vinca, come dovrebbe essere il Pd dopo le primarie?

«Un partito con una assemblea provinciale in cui vivono sensibilità diverse».

Senza rotture?

«È il partito di tutti».

E la sua convivenza in giunta con Spagnolli?

«Sono lì per i cittadini, non per il sindaco o gli assessori».

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