Rauzi: «L’esodo si ferma con più tedesco all’asilo»

L’ex sovrintendente: «Sfruttare di più le capacità d’apprendimento tra 3 e 6 anni Così si evita di caricare troppo negli anni successivi, a scapito delle altre materie»


di Antonella Mattioli


BOLZANO. Non ci sono numeri - perché quando la famiglia iscrive i figli a scuola non c’è l’obbligo di dichiarare a quale gruppo etnico si appartiene e perché neppure i cognomi aiutano a capire se il bambino è italiano, tedesco o mistilingue - ma il fenomeno c’è ed è in costante aumento: nonostante i forti investimenti sia in termini economici che didattici fatti dalla Provincia per l’apprendimento della seconda lingua, sono sempre di più le famiglie italiane che iscrivono i figli nelle scuole tedesche. Non solo. Anche gli extracomunitari che, anni fa, mandavano i bambini nelle scuole italiane, oggi - avendo messo a fuoco com’è la realtà altoatesina - in molti casi preferiscono iscriverli in quelle tedesche. Ciò spiega perché, nell’anno scolastico in corso, sono state tagliate quattro sezioni di scuola materna all'Airone in via Aosta e al Dolomiti di Piani, oltre che a Bronzolo e Merano. In cinque anni ci sono stati 250 iscritti in meno. Ciò a fronte di un aumento degli alunni nelle scuole dell'infanzia tedesche: 257 in più, per un totale di 12.378.

Ma la sovrintendente Nicoletta Minnei nega che ci sia un problema: «Questo fenomeno della migrazione nella scuola dell’altro gruppo c’è sempre stato, non è una novità. È vero che c’è stato un leggero calo nelle scuole dell'infanzia, ma nella primaria e secondaria dal 2010 ad oggi ne abbiamo 1500 in più e la crescita non è dovuta solo alla presenza di stranieri. Del resto, in periferia si assiste al fenomeno inverso: sono i bambini di lingua tedesca che si iscrivono nelle scuole italiane. Tanto che abbiamo aperto due sezioni di scuola materna a Vipiteno e Ora».

Chi invece ritiene che il problema ci sia è Bruna Rauzi, insegnante, dirigente scolastica e per 16 anni, fino al 2009, sovrintendente. «Alla luce della mia esperienza di insegnante e prima ancora di madre, dico che è tempo di fare una revisione del curriculum scolastico».

In concreto cosa significa?

«In questi anni si è investito tantissimo in questo campo, ciononostante molte famiglie italiane - e tra queste mi ci metto anch’io - iscrivono i figli nelle scuole dell’infanzia tedesche. Ciò nella convinzione giusta, perché dimostrata scientificamente, che è nella fascia di età tra i 3 e i 6 anni che ci sono le maggiori capacità di apprendimento di un’altra lingua. Bisogna dunque potenziare il tedesco nella scuola materna».

Perché non si fa già?

«Si fa, ma non è abbastanza. A mio avviso, e non solo a mio avviso, sono sbagliati i tempi».

Cosa vuol dire?

«Che il massimo sforzo, ovvero la concentrazione di ore di tedesco e inglese lo abbiamo nella scuola primaria e secondaria, con il risultato che sull’altare della seconda lingua si sacrificano troppo le altre materie. Le conseguenze sono almeno due».

Ovvero?

«Spesso e volentieri, questo pressing sul bambino rischia di provocare un rifiuto nei confronti del tedesco».

Questa è la prima conseguenza, e la seconda?

«La seconda è che lo sbilanciamento a favore del tedesco, fa sì che nelle prove Invalsi dove vengono valutate le competenze in materie come italiano e matematica, gli studenti di lingua italiana dell’Alto Adige risultano meno brillanti dei coetanei del Trentino e del Nordest in genere».

Lei dunque punterebbe tutto sull’apprendimento precoce, ovvero scommettendo tutto sulla scuola materna.

«Certamente, sfruttando le capacità di apprendimento del cervello che - lo ripeto - tra i 3 e i 6 anni sono al top per quanto riguarda le lingue. In quella fascia di età s’impara giocando. L’altra lingua non è una materia, ma un modo per comunicare con l’altro. Ciò che impari a quell’età non lo dimentichi più e a quel punto non è più necessario aumentare il monte ore di tedesco nelle scuola primaria e secondaria. Perché ormai hai nell’orecchio la pronuncia, le espressioni, i modi di dire» .

Lei lo ha sperimentato con sua figlia.

«Sì e più recentemente con le mie nipotine».

Ma all’epoca era sovrintendente scolastico, significava in qualche modo ammettere che la scuola italiana non era all’altezza.

«Non ho mai fatto mistero della mia scelta e per questo, fino a quando sono andata in pensione, ho insistito sulla necessità di investire di più sull’apprendimento precoce. Ricordo che quando ho iscritto mia figlia alla materna tedesca mi hanno subito avvertita che se la bambina, con entrambi i genitori italiani, non fosse riuscita ad integrarsi, l’avrei dovuta ritirare. Non c’è stato bisogno».

Non c’è il rischio che in questo modo uno impari benissimo l’altra lingua, ma perda la sua identità.

«Non è vero. Mia figlia ha fatto le scuole tedesche, ma l’università l’ha frequentata a Bologna».

Un forte potenziamento del tedesco a partire dalla scuola dell’infanzia implica innanzitutto avere gli insegnanti di madrelingua e questo andrebbe a scapito delle insegnanti e delle collaboratrici pedagogiche italiane.

«Il problema esiste, ma va in qualche modo risolto. Perché non può essere questo che blocca un miglior apprendimento della seconda lingua. Condizione fondamentale per vivere, lavorare, avere relazioni in questa terra».













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