Rifugi alpini da ripensare «Occorrono dei paletti» 

Professionisti, associazioni e rifugisti tutti d’accordo: basta eccessi architettonici Le strutture “glamour”? «Costose in termini ambientali e attirano troppa gente»



BOLZANO. Ci vogliono dei limiti. Anzi no, perché detta così potrebbe risultare antipatica o, ancora peggio, frutto di una visione retrograda, conservatrice. Allora diciamola altrimenti: ci vogliono paletti. Stiamo parlando della costruzione, della manutenzione e della gestione dei rifugi alpini, ieri al centro di un importante convegno organizzato dal Cai Alto Adige tenutosi al centro congressi in Fiera, moderato dal caporedattore dell’Alto Adige Mauro Fattor. Sul concetto di paletti da porre si sono detti concordi un po’ tutti i relatori e gli enti presenti: Cai, ordine degli architetti, ordine degli ingegneri, geologi, rifugisti. Un rifugio in alta o altissima montagna è qualcos’altro. È l’ambiente stesso a porre dei limiti, anche solo perché, come ben sanno gli ingegneri, lavorare a Tremila metri non è come farlo al livello del mare. Lassù non si può, non si deve fare tutto ciò che si vuole. In almeno tre sensi. Primo: negli ultimi anni in quota si sono evidenziati degli eccessi architettonici, riconosciuti dagli stessi professionisti del settore. Troppo spesso l’ego di certe primedonne ha ritenuto che in alta montagna non esistessero vincoli. Anzi, meglio ancora: non ci sono nemmeno i vicini in disaccordo coi progetti, niente distanze da rispettare, nessun timore di cause dei confinanti, i residenti non raccolgono firme. E quindi, in alcuni casi, per così dire, ci si è fatti prendere un po’ troppo la mano. Secondo: in diversi casi - si è fatto l’esempio della nuova Capanna Margherita in cima al Monte Rosa - si sono costruiti rifugi talmente «glamour» da diventare solo per questo delle mete ambitissime, generando così dei flussi inimmaginabili di escursionisti e alpinisti, con i relativi pesanti impatti negativi sull’ambiente d’alta quota, molto più delicato della pianura. Un successo per la struttura, ma solo in apparenza. Perché ne nascono delle difficoltà legate non solo alla tutela della natura. E qui veniamo al terzo rilievo mosso durante il convegno. Difficoltà legate anche solo alla mera gestione tecnica della struttura. Troppa gente, risorse scarse, il rifugio va in tilt. In certe condizioni, come hanno ben evidenziato Manuel e Cristina Agreiter, gestori (da 30 anni) del rifugio Franz Kostner al Vallon sul Sella, molti non si rendono conto che non si può fare la doccia con l’acqua calda due volte al giorno. È un rifugio alpino, non un centro wellness. Si tenta di accontentare i turisti in tutto, compresa la schiuma sul macchiato, ma poi, a un certo punto, si capisce di dover porre dei paletti. Tecnici, in primo luogo. Al Franz Kostner al Vallon, spiega Claudio Sartori del Cai Alto Adige, c’è una sorgente posta assai in alto. Se in settembre fa freddo, la sorgente ghiaccia. Si è stati lungimiranti, costruendo serbatoi di compensazione da decine di migliaia di litri. Ma la doccia due volte al giorno non te la faccio mica fare. Non si può. Anche perché, per scaldare l’acqua, si consuma energia e la maggior parte dei rifugi viaggia con generatori a nafta. Hai voglia a dotarti dell’ultima generazione, Euro 5 o 6. C’è niente da fare: puzzano, fanno rumore, inquinano. Meno li si fa girare meglio è. Ma poi, non è neanche solo una questione di limiti tecnici. Ci sono quelli che si potrebbero definire etici. Niente filosofia, ci spieghiamo con un semplice esempio. In tutti i rifugi Cai dell’Alto Adige c’è internet via satellite. È di servizio, per prenotazioni, emergenze e soccorsi. Si potrebbe regalare il wifi gratis a chi dorme e mangia in rifugio. Il Cai consiglia ai rifugisti di no. Almeno lassù, per qualche ora, rinunciate a Whatsapp, godetevi il panorama e parlate fra voi. Di persona.(da.pa)

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