Rose, l’infermiera che combatte la morte nelle baraccopoli 

Stasera al Rainerum. Incontro pubblico con la fondatrice del Meeting International Point di Kampala, in Uganda: «L’ospedale ti fa sopravvivere, ma è la scuola che ti educa a vivere» 


Luca De Marchi


Bolzano. Questa sera alle 20.30, Rose Busingye sarà al Rainerum (sala don Bosco, possibilità di parcheggio) su invito del Centro Romano Guardini, che inizia così le celebrazioni per i 50 anni di Comunione e liberazione in Alto Adige.

Rose Busingye, infermiera specializzata in malattie infettive, è fondatrice del Meeting Point International di Kampala, capitale dell’Uganda, un paese ricco di natura, di acqua e con temperature che non hanno nulla a che fare con la vulgata del “caldo africano”. La parte nord del paese dal 1986 è colpita da una feroce guerra civile che negli ultimi anni sembra essersi calmata: il movimento “Esercito di resistenza del signore” cerca di rovesciare il governo ugandese di Yoweri Museveni e la guerra coinvolge i vicini Sudan, il Congo e la Repubblica Centrafricana.

Rose, Lei ha vissuto lo scoppio della guerra civile.

Sì. Avevo finito la scuola superiore e mi ero trasferita a Kithum, nel nord. Volevo iscrivermi all’università per studiare giurisprudenza, ma la guerra ha bloccato tutto e per cinque mesi non sono riuscita a spostarmi. Morirono in così tanti e non c’era alcuna assistenza per i feriti. Quando sono riuscita a tornare a casa, ho cambiato idea: volevo diventare infermiera.

Così ha frequentato l’università, poi si è specializzata in Italia all’ospedale di Varese ed è tornata in Uganda.

Sì, mi sono specializzata in malattie infettive, cardiochirurgia e assistenza alla maternità. Al mio ritorno ho seguito diverse famiglie, soprattutto persone affette da Hiv. Durante la guerra avevo visto persone venire trattate come carne da macello, nessuno si commuoveva se qualcuno saltava in aria per una mina. Tutto sembrava “normale” e questo mi mandava in crisi.

Per questo ha fondato il Meeting Point di Kampala?

Io volevo fermare la morte, perché una persona che ami non vuoi vederla morire. Il Meeting Point non si rivolge solo agli ammalati. Oltre agli interventi medici propone un cammino per tutti con l’obiettivo di scoprire insieme il senso della nostra vita e di promuovere la centralità della persona, a prescindere dalle sue condizioni di salute e dal contesto di provenienza. L’abbiamo fatto perché ognuno di noi riscopra i propri valori e la propria dignità.

Il Meeting Point nasce nello slum di Kireka, una delle baraccopoli più grandi di Kampala.

Sì, lì la gente vive scavando nelle cave di pietra e vendendo collane di carta, ma ho sentito da subito che le persone prima di tutto avevano bisogno di compagnia. Ho messo da parte l’aspetto medico e ho iniziato a passare il tempo con loro, creando un punto di aggregazione. Poi dopo un po’ di tempo ho proposto loro di raccogliere i fondi per costruire un ospedale. Ma loro mi hanno fermato. Non volevano un ospedale: volevano una scuola.

Perché una scuola?

L’ospedale ti fa sopravvivere, la scuola ti educa a vivere. E quando educhi, cresci la futura classe dirigente, i futuri medici. Oggi la “Luigi Giussani Pre Primary and Primary School” accoglie oltre seicento ragazzi e registra il 95% di presenze. Da qualche anno abbiamo aperto anche un istituto superiore.

Il suo lavoro è determinato dalla fede. Cosa significa?

Che dobbiamo andare al di là dell’apparenza delle cose. Le persone non sono solo quello che appaiono, ma hanno sempre qualcosa dentro da scoprire. Quando scopri che tu sei prezioso negli occhi di qualcuno, cresci, ma se non lo scopri ti lasci schiacciare dalle illusioni come il potere e i soldi. Quello che continuo a gridare al mondo è che la vita ha un valore e che dobbiamo proteggerlo, che abbiamo un valore infinito e che ne siamo responsabili.

Cosa significa essere responsabili del proprio valore?

Siamo responsabili di noi stessi, di chi siamo e delle scelte che facciamo. La questione di fondo che viviamo in Uganda, così come in Africa e nel mondo intero, è un tema che riguarda l’essere umano nella sua totalità. I progetti umanitari che vedo nascere nel nostro paese sono progetti che non mettono in primo piano l’uomo, ma i numeri e le statistiche. L’uomo è alla ricerca di qualcosa che ormai non trova più, distratto com’è dalla ricchezza e dal potere. Ma in questa maniera il vuoto non si riempirà mai.

Il mondo di oggi è un mondo di violenze, paure, guerre e terrorismo. Non si arrabbia mai con Dio per questo?

La colpa non è di Dio, è dell’uomo: quando non conosce la verità, l’uomo finisce per usare la violenza; se non conosce il significato della vita, lo usa male. Ma io non ho paura, non bisogna avere paura. La paura non vince mai sul presente.













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