Se hai una figlia anoressica non dirle quanto è magra

I consigli ai genitori del Centro per disturbi alimentari di via Talvera Vanzetta: «Colpevolizzarsi non serve ma bisogna saper cambiare strategia»


di Massimiliano Bona


BOLZANO. «Tu devi mangiare di più», oppure «Sei troppo magra»: ecco questi sono due esempi tipici di cosa non bisogna dire ad una figlia (ma anche a un ragazzo con problemi analoghi) che soffre di disturbi alimentari. A spiegarlo è Raffaella Vanzetta, coordinatrice di Infes, Centro specializzato di via Talvera che si rapporta ogni anno con almeno 200 persone grazie ad un team di una decina di esperti. Padri e madri, quando si presentano, sanno bene di cosa si tratta, ma spesso hanno bisogno di una conferma da chi quotidianamente lotta per far uscire decine di ragazze (e le loro famiglie) dal tunnel dell’anoressia. I casi, in provincia, sono 500 l’anno.

«La prima cosa che facciamo con i genitori? Cerchiamo di sostenerli e sollevarli da questa situazione di emergenza. Spesso, quando arrivano qui, la malattia si è già presentata da tempo».

Può essere utile trovare un responsabile o dare la colpa a qualcuno?

«Madri e padri vanno alleggeriti dai sensi di colpa. Spesso si sentono messi in croce da medici e terapeuti e questo può anche contribuire a paralizzarli».

Qual è il primo passo per cercare di uscire dalla situazione?

«Cerchiamo di vedere quali sono le risorse in famiglia e puntiamo a ricaricare le batterie di tutti. Dobbiamo capire chi può aiutare la ragazza malata. Bisogna chiamare le cose con il loro nome e – nella maggior parte dei casi – serve una terapia d'urto».

In base a cosa decidete se proporre o meno un ricovero in una struttura attrezzata?

«Lo facciamo dopo aver parlato a fondo con i genitori per capire quale sia esattamente la situazione a casa».

E il primo consiglio che date?

«È quello di non imporsi. Anche perché i genitori si rapportano ad una ragazza che si sta staccando dalla famiglia ed è alla ricerca di una certa autonomia. Anche se è molto più difficile bisogna cercare di arrivare al cuore e ai bisogni e accrescere la fiducia interiore».

Vi confrontate anche con genitori a cui piace avere figlie "supermagre"?

«Certo. Spesso si passa dall’ammirazione iniziale ("guarda nostra figlia non ha un filo di grasso" ndr) alla ricerca di conferme per stabilire finalmente la realtà delle cose ("mia figlia soffre davvero di disturbi alimentari?")».

Quante persone si rapportano ad un singolo caso a Infes?

«Ci sono due coordinatrici più sette collaboratrici esterne con cui siamo a stretto contatto. Una guida il gruppo che si occupa di consulenza, un'altra va nelle scuole e poi ovviamente c'è anche la nutrizionista, che ha un ruolo importante».

Capita che le ragazze in difficoltà non vogliano farsi vedere?

«Certo, in quel caso la nutrizionista, dopo aver fatto le domande giuste, prescrive un'alimentazione bilanciata, a cui bisogna affiancare una terapia di tipo psicologico».

È importante coinvolgere i genitori?

«Direi fondamentale: mamme e papà vanno motivati. E devono capire che se le strategie usate fino a quel momento per aiutare le figlie non hanno funzionato sono sbagliate. Tocca a noi, poi, indicare ai genitori le strade giuste».

Quanto dura il percorso di recupero e guarigione?

«Non c'è una regola, ma si va di solito da due mesi a due anni».

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