Selva se ne va da Bolzano «Siamo fuori dal mondo»

L’azienda di mobili si trasferisce a Verona: «Senza aeroporto costi altissimi» Da settembre è prevista la messa in mobilità di una dozzina di dipendenti


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Philipp Selva ha deciso. Via da Bolzano, tutto concentrato a Verona. A settembre chiudono i 7 mila metri quadri oltre la Fiera, di fronte al Thuniversum. Mobili e lusso. «Bolzano è diventata sempre più irraggiungibile. E costosa. Quando parlo con i nostri distributori e chiedo loro: bene, dove volete che ci vediamo a Verona o a Bolzano? Loro mi rispondono: dove c'è un aeroporto...». Una volta ha provato a farli salire in A22. Era un sabato, sono ancora in coda. La Selva fa 60 milioni di fatturato ma stare "anche" a Bolzano, con tutti questi problemi di raggiungibilità veloce per chi arriva da ogni parte del mondo, stava diventando un costo ulteriore. E già molti settori del marchio, a poco a poco, erano stati trasferiti a Isola Rizza, bassa veronese, a due passi dalla Transpolesana e da Villafranca. A Bolzano resteranno ancora 12 dipendenti per quattro mesi. Poi la mobilità.

Deciso?

«Decisione inevitabile. Già era un costo industriale tenere due sedi. Anche se qui a Bolzano il marketing, il commerciale, lo show-room funzionavano bene. Poi la crisi dell'aeroporto... è stata la goccia».

Che significa?

«Che Bolzano ha perso ancora in raggiungibilità. Posso capire ma non giustificare l'ostilità di alcuni, soprattutto dei vicini. Tuttavia il mondo ormai si muove veloce, non aspetta le file in autostrada o treni che ci mettono sempre due ore per arrivare a Verona. L'aeroporto nel mondo delle imprese è un must. Chi ce l'ha se lo tiene».

Esempi?

«Proprio Verona. Lì è pronto un piano di ampliamento. Vero, importante. Nessuno ha protestato. Qui l'aeroporto c'è, esiste da 70 anni ma per cento metri di pista si scende in piazza. 30 anni fare la MeBo sembrava una tragedia: erano minacciati smottamenti, traffico, inquinamento. Oggi nessuno ci rinuncerebbe. C'è un clima avvelenato. Si continua a guardare al proprio orto e non a chi deve produrre e assumere».

Bolzano rallenta in questo modo?

«Rischia molto. Ed è un peccato soprattutto per le nuove generazioni».

Perché?

«Le imprese, le università cercano luoghi raggiungibili con più mezzi, treni, aerei. Collegamenti veloci. Non è che una comunità può immaginare che il loro futuro sia solo andare in bici o fare trekking: il lavoro, le specializzazioni, le opportunità sono un'altra cosa. E volano».

Ma poi la Selva aveva anche il problema di ottimizzare gli investimenti, no?

«È l'altro nodo. La crisi che ha investito la Russia ha toccato uno dei nostri mercati più importanti. E poi la recessione degli ultimi anni. Mantenere due sedi operative in queste condizioni era un problema».

Che significa Verona?

«La nostra seconda casa. L'aveva individuata mio padre, Pepi Selva, il fondatore. A Isola Rizza c'è una rete di professionalità molto competitiva, artigiani, falegnami, stuccatori. È uno dei distretti del mobile più importanti dopo quello lombardo».

Che succede laggiù?

«La Selva concentra le sue attività. Ci sono 14 ettari a disposizione. E per le attività industriali e commerciali 55mila metri quadri coperti».

E Philipp Selva?

«Resterà sempre un imprenditore altoatesino. Le nostre radici sono qui. Ma il futuro ormai è veronese».

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