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Soccorso alpino, in Alto Adige troppe chiamate inappropriate

Accademici del Cai, Cnsas e Aiut Alpin: «Siamo esasperati, costretti a rischiare la pelle per aiutare degli sprovveduti»


Davide Pasquali


BOLZANO. Gli uomini del soccorso alpino altoatesino sono esasperati: troppe chiamate inappropriate, troppi turisti in giro convinti che l’elisoccorso sia un servizio di comodo: camerieri a dispozione per ogni e qualsiasi evenienza. Sono stufi di rischiare la pelle per andare a salvare chi si caccia nei guai per incapacità, ignoranza, leggerezza, superficialità. Accademici del Cai, Cnsas, Aiut Alpin Dolomites. Per tutti la misura è colma.
 

Qualche esempio. Vero, tratto dall’estate 2017. Una famiglia dal bosco chiama il 118: «Piove, non è che l’elicottero potrebbe portarci degli ombrelli?». Turista in cima al Seceda in tacchi a spillo: «Mi venite a prendere, con l’elicottero? Non riesco più a scendere...» Rifugio Locatelli, Tre Cime: «Stamattina faceva caldo, ora è tanto freddo, non è che ci portate da vestire?» Esempi esilaranti, ma in troppi altri casi c’è invece chi rischia le penne per salvare gli escursionisti in condizioni difficili: nebbia, vento, nevischio, grandine. Rifugio Casati. Le cordate rientrano per il tempo pessimo, ma raccontano di gente che nel medesimo momento sta partendo per la salita al Cevedale. Altre previsioni meteo apocalittiche, ma una coppia va lo stesso a farsi la ferrata sulla cresta Ovest della Marmolada. Uno muore, l’altra viene salvata dall’elicottero, mentre nello stesso giorno due ragazze in shorts vengono tirate giù dalla ferrata Eterna (il nome non è un caso) a punta Serauta, immersa nella nebbia, in altissima quota, temperature prossime allo zero. È la percezione del soccorso alpino a essere cambiata in una società dove tutto è dovuto, assicurato e garantito. Dove “tanto c’è elicottero”. La società della sicurezza passiva, dove al massimo si cerca un capro espiatorio e la colpa non è di chi sbaglia.

L’attacco di Rossin. «Ognuno è libero di suicidarsi come vuole», chiosa l’accademico del Cai Roberto Rossin, che vent’anni fa, sulla Presanella, si ruppe un piede e per non pesare sui soccorritori si scese 1400 metri di dislivello senza l’aiuto di nessuno. Non tutti sarebbero in grado, per carità, ma in troppi oggi non si rendono conto di mettere a repentaglio la vita dei soccoritori. «In certi casi dovrebbe entrare in scena la magistratura: sanzione in caso di chiamata inappropriata o causata da palese imperizia dei turisti, più una bella denuncia per procurato allarme». Già lo scomparso Lorenzo Zampatti, allora presidente Cnsas Alto Adige, anni fa aveva chiesto che si tentassero delle azioni legali per chiedere conto, ma la previsione di spese giuridiche eccessive e le probabili lungaggini avevano sconsigliato di agire. Intervenire culturalmente, si dovrebbe, «ma intanto una bella multa e una denuncia per procurato allarme potrebbero servire; la voce girerebbe, le chiamate al 118 calerebbero».

L’analisi di Kostner. Attualmente, chiarisce invece Raffael Kostner, anima dell’Aiut Alpin, «il problema è che in troppi partono tardi. Una volta al pomeriggio si era già a casa, qui si parte dopopranzo. Chi arrampica si divide in due categorie: alpinisti abituati all’ambiente ed esperti, e chi si allena in palestra. Questi ultimi, anche se sono forti, bravi, senza uno spit ogni due metri spesso vanno in crisi. Statisticamente, però, a farsi male di più sono i turisti. Agosto è un mese strano, ne capitano di tutti i colori». Negli altri mesi, chi sbaglia paga: «Agli stranieri spesso vengono presentati conti salati, se l’intervento non è giustificato». Non così agli italiani. Tessera Cai o meno, sono solo 100 euro di ticket, anche se il solo volo dell’elicottero, altre spese escluse, ne costa 2 o 3 mila. «Dovrebbe essere la politica, a decidere di far pagare», ma finora nessuno ha mai avuto il coraggio. Formare di più la gente, si dovrebbe, «perché anche se tu li lasciassi fuori una notte imparerebbero, ma sarebbero sempre troppo pochi rispetto alla massa di gente che gira». Impreparata. Un problema per i volontari. «Perché se devi uscire una volta a settimana per un alpinista infortunato, bon. Ma 4 o 5 uscite al giorno, rischiando la pelle per dei turisti sprovveduti...»

Il Cnsas. Conclude Giorgio Gaier (Cnsas): «Potrebbe sembrare una cosa scontata che un gruppo di volontari partano in condizioni spesso critiche, arrivino sul luogo dell’incidente e poi ritornino. Spesso però ci troviamo di fronte a realtà complicate, rischiose, sia come gestione fisica ma in particolare psicologica. In certe situazioni, come accaduto di recente, spesso veniamo bonariamente criticati: “Chi ve lo fa fare per persone imprudenti che mettono a repentaglio la vostra vita?” Ma noi andiamo, convinti che sia importante la solidarietà in montagna, nonostante disperate corse contro il tempo!»
 













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