Spagnolli: divisione etnica, il modello non regge più

L’ex sindaco: «Gli italiani non hanno legami col territorio e per questo sono spesso estranei a molte cose che avvengono nel resto della provincia»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. «Sono stato il primo sindaco che ha parlato alla pari con tutti». Intende in italiano e tedesco, Luigi Spagnolli. E non solo a Bolzano: «Visto che siamo il capoluogo, ho avuto la possibilità di farlo con tutto il territorio». Ecco l'orgoglio bilingue dell'ex sindaco dei tre mandati. Che non è solo per via della possibilità di parlare in tedesco coi tedeschi. Ma per una questione più profonda, dove la lingua è anche un codice tutto umano per entrare in un’altra percezione della realtà. Per scoprire i mondi. E magari capirli sempre un poco di più. Per questo, anche per questo, Spagnolli sul disagio ha un'idea tutta sua. Fuori dagli schemi. «Perché - dice - il disagio è proprio uno schema mentale». E la soluzione per uscirne fuori è provarci. Ognuno a modo suo. Ma senza più alibi. Lui, da sindaco, lo ha fatto. Ha provato, in sostanza, dentro la sua veste di primo cittadino che"la convivenza, un'altra convivenza al di fuori della proporzionale, è possibile". Ed è intorno a questa possibilità che occorrerebbe insistere. «Perché ognuno deve fare la sua parte».

Torniamo a parlare di disagio.

«Il disagio degli italiani è ovvio e non esiste allo stesso tempo».

Come è possibile?

«Perché è legato ad uno schema mentale».

Le ragioni?

«Gli altoatesini-italiani sono in gran parte immigrati, di massimo quarta generazione, da altre regioni italiane».

Conseguenze?

«Non hanno legami col territorio, cioè non possiedono terre. E vivendo in città e parlando un'altra lingua, sono da sempre estranei a una gran parte delle cose che succedono in provincia. Bolzano è l'unica media città europea nella quale i residenti sono proprietari di una percentuale minima del territorio di riferimento».

Una situazione unica.

«Assolutamente. E non solo per motivi di lingua, bensì per come si è formata nella storia della popolazione attuale. Dunque, uno stato di fatto. Seppure in evoluzione. Ma relativa, perché la proprietà terriera era e resta tedesca».

Poi c'è stato il Pacchetto. Che ha agito in che modo?

«I vertici della politica pensarono di creare una società a doppio binario parallelo»-

Di che tipo?

«Sia i tedeschi che gli italiani hanno le loro nicchie di vita, ciascuna con associazioni parallele ed equivalenti. Ma oggi è evidente che questo modello non regge. Il quale tuttavia è radicato nel modo di pensare soprattutto dei tedeschi, parecchi dei quali anzi tendono a ragionare in termini di gruppo etnico complessivo: italiani di tutta Italia da una parte, tedeschi di qua».

Perché il modello non regge?

«L'economia è una e tutti si fanno concorrenza. Le persone bisognose non si possono dividere per lingua. Il futuro è un’Europa dei popoli dove ognuno ha il diritto di trovare il suo posto per quello che vale e non per la targa che porta».

Esiste una prospettiva di avanzamento?

«L'unica vera è una crescita collettiva di consapevolezza che abbiamo dei valori storici comuni. Che sono poi gli stessi, riadattati alla nostra realtà, di tutte le popolazioni alpine: rispetto per il territorio, lavoro, accoglienza, partecipazione, cooperazione, legame con la tradizione, che a noi è molto più tedesca che italiana».

E la lingua?

«Dovrà essere sempre meno un problema e sempre più una risorsa per capire meglio chi ti sta vicino».

Lei è stato il primo sindaco realmente bilingue.

«Ho cercato di far vedere che esiste un'altra convivenza possibile, oltre la proporz».

E dunque un cambiamento è possibile?

«Sono certo che fra 50 anni gli altoatesini saranno del tutto diversi da adesso. Nel senso che ci saranno ancora, forse, tedeschi e italiani ma con una visione della vita e della convivenza più aperta ed europea. Del resto, noi stessi siamo tutt'altro rispetto ai nostri nonni».

Ma sarà un percorso complesso.

«E anche pieno di incognite. Il consenso elettorale tutt'ora arriva in buona parte grazie agli slogan di parte etnica. La scuola e i media sono poco disposti o strutturalmente impreparati ad intraprendere quei cambiamenti epocali che sarebbero richiesti. I social evidenziando come è loro costume la componente più becera del pensare comune, tendono a sottolineare le contrapposizioni etniche anziché a farle capire e ridurle. L'integrazione dei nuovi cittadini, la crisi anche dei valori, la maggiore esigenza di trasparenza vera o presunta che sia, finiscono per provocare sempre nuove sfide».













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