Spagnolli: «No, non farei più il sindaco»

La «confessione» dopo le dimissioni. Ribadisce le ragioni dell’addio: «Avrei dovuto governicchiare, non è da me»



BOLZANO. Non solo è leggero e rilassato, dopo le dimissioni, ma confessa «non lo rifarei più». No, con il senno di poi, Luigi Spagnolli non farebbe più il sindaco.

Spagnolli ha inaugurato ieri mattina Altoadige.live, il festival per i 70 anni del nostro giornale. Per tutta la giornata centinaia di persone hanno seguito gli eventi nella sala di rappresentanza del Comune e in piazza Walther. Questa mattina alle ore 10.30 la chiusura del festival, sempre in sala di rappresentanza in vicolo Gumer, con la premiazione dei vincitori della maratona fotografica. Chissà cosa avrà pensato Spagnolli sedendosi al tavolo della sala comunale per l’intervista dal vivo con il direttore Alberto Faustini. In quella sala tante volte ha fatto gli onori di casa come sindaco, ieri l’ha fatto come «ex». Ad attenderlo, oltre trecento persone, esaurite le sedie e anche i posti in piedi.

Domande veloci da Faustini e risposte veloci. Mantenendo il ritmo Spagnolli si è «confessato». Si parte dalla fine. Perché un sindaco vincente per tre volte non è riuscito a governare? «Sicuramente c’è il problema della legge elettorale, che non prevede il premio di maggioranza. E poi abbiamo assistito alla moltiplicazione delle liste. Mentre nel 1995 c’erano 9 liste di supporto al sindaco, a maggio erano 18. Si polverizza così anche la necessità di dialogare. E quando non ci sono i partiti, vengono a parlarti i singoli, e lo fanno senza l’elaborazione che viene fatta nelle sedi politiche. Non era più possibile portare avanti questa situazione. Si sente la mancanza di una scuola politica». Le mancano i partiti vecchio stile, chiede Faustini? «Mi mancano le persone cresciute politicamente negli anni Sessabta e Settanta. Avrei dovuto governicchiare, e io non governicchio», risponde l’ex sindaco. Poi arriva l’ammissione. Rifarebbe il sindaco? «Penso di no. Le cose che sei costretto a fare controvoglia oggi in politica non ne valgono la pena. Avrei avuto più tempo per me e la mia famiglia. Ci sono altri modi attraverso cui essere utile per la collettività». Segue polemica sul web (Carlo Bassetti, della segreteria Pd: la candidatura del terzo mandato non gliela aveva prescritta il medico). Le dimissioni non sono state un colpo di testa. Faustini chiede a Spagnolli quando abbia scritto la lettera di dimissioni. «Era pronta da giugno, ma era opportuno arrivare fino a settembre, per garantirsi il voto a giugno 2016. Altrimenti avremmo votato a novembre. Sarebbe stato il proseguimento della brutta campagna elettorale che abbiamo appena vissuto». E adesso si cerca un lavoro. «Chiudo con la politica, a partire da quella comunale. Poi certo non si deve mai dire mai. E mi cerco un lavoro». Avrebbe il posto garantito come dirigente comunale, ma sembra pensare ad altro. «Ho una esperienza di peso da spendere». Qualche incarico romano? Se ne parla. In platea c’è Arno Kompatscher. Spagnolli assicura: «Non ho mai pensato di diventare presidente provinciale». Obbligata la domanda sul progetto Benko, che ha dominato il Comune per tutti questi mesi, fino alle dimissioni. Spagnolli difende il procedimento: «È stata una operazione pulitissima dal punto di vista formale ed etico. Il Pru di via Alto Adige ha avuto un proponente, ma è previsto che l’iter sfoci in una gara, cui potranno partecipare tutti gli interessati. Le proprietà acquistate verranno messe a disposizione dei vincitori a prezzo di stima. Mi dispiace che il progetto non sia stato contestato nei contenuti. Si è creata la contrapposizione tra puro e impuro». C’è ancora il tempo per una nuova stoccata a Cecilia Stefanelli. «Ho capito che il mio tempo era finito, come ho scritto nella lettera di dimissioni, quando Cecilia Stefanelli ha annunciato che non avrebbe votato al ballottaggio “perché per me Spagnolli e Urzì sono uguali”. Vuol dire che non si era capito quanto ho seminato in questi anni». Ma è solo una frecciata. È uno Spagnolli senza troppe spine quello che ieri ha voluto salutare il pubblico arrivato per ascoltarlo. Ancora una volta rivendica di essere stato «il primo sindaco di tutti». Il suo lascito dopo 10 anni? «Avere contribuito a fare di Bolzano un corpo meno estraneo rispetto al resto della Provincia. In fondo è sempre stato così, con la sua natura commerciale, ma il culmine lo abbiamo toccato ai tempi della contrapposizione etnica». A suo agio con il tedesco e con il dialetto, «sono stato il primo sindaco cui gli altri sindaci si rivolgevano direttamente, invece di passare per il vicesindaco». Ladinser sta facendo il furbo, incalza Faustini, rinviando le dimissioni annunciate? «È stufo quanto me, non ha ragioni per restare un minuto più del necessario. Credo che Ladinser si rimetta alle valutazioni della Svp». Se ne va con il sorriso. I problemi ora sono degli altri. «Spetterà a loro convincere gli elettori di tornare a votare. Ci abbiamo provato per quattro mesi. Ora molliamo, ma avevamo il dovere di provarci». (fr.g.)

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