Stava 1985, il prefetto Urzì “inventò” la protezione civile 

La tragedia. Il commissario del governo fu il primo ad attuare i nuovi protocolli nazionali Il ricordo dell’allora segretario di gabinetto Antonio Lampis. Soccorsi coordinati da Bolzano



Bolzano. Erano le 12, 22 minuti e 55 secondi. Il giorno: 19 luglio 1985. Una precisione non umana, nessuno aveva avuto il tempo di guardare l'orologio. Era stato il sismografo di Cavalese. Un segno sulla carta. Dopo pochi attimi, a Stava, l'acqua e il fango del bacino di Prestavel avevano già inghiottito centinaia di ignari turisti e abitanti. Alla fine, i morti furono 268. "Allora facevo il primo anno di università. Avevo 20 anni. Legge. Stavo a Modena perché a Trento non c'era ancora". In quelle ore Antonio Lampis era in prefettura. Viale Eugenio di Savoia, Bolzano. Era il segretario di gabinetto del prefetto da poco più di un anno. All'epoca il commissario del governo era il "mitico" Mario Urzì. L'aggettivo è ripreso, anche oggi, da tutti quelli che vi lavorarono a fianco. E anche da Lampis, che ha da poco lasciato la direzione generale dei musei italiani, a Roma. Che c'entra Bolzano con Stava? C'entra. Perché fu proprio Urzì a mettere in pratica, forse per la prima volta, la cornice d'intervento della protezione civile. Oggi la conosciamo tutti. Ad ogni tragedia arrivano i suoi mezzi, il capo coordina i soccorsi, durante la pandemia di primavera la protezione ci veniva a trovare tutte le sere con i dati dei morti e dei contagi. Ma allora, in quegli anni, nulla faceva presagire la sua nascita e crescita, il ruolo che avrebbe assunto, la macchina che ha poi creato e che muove un esercito di migliaia di persone. "Urzì fu il primo ad attuare la cornice di intervento coordinata della protezione civile" dice oggi Lampis. A costruire quella geografia di sinergie tra le forze dell'ordine, i pompieri, l'esercito che poi sarebbe stata strutturata definitivamente. Certo, in coordinamento con la prefettura trentina. Ma c'era Urzì, a Bolzano. E la sua energia, le decisione con la quale si mosse fin dalle prime ore fecero del commissario del governo bolzanino lo snodo di gran parte della macchina dei soccorsi. Ad un certo punto, pochi minuti dopo le prime notizie, Urzì convocò i suoi più stretti collaboratori. "Chiamò anche me. E pure Oswald Loner e pochi altri. Ci disse, voi giovani dovete andare sul posto. Non state qui negli uffici...": Lampis ha ancora vivi quei ricordi. Capitò, a ridosso della tragedia, che molte vittime dell'onda di fango venissero portate a Egna, alla Rabbiosi. "Era un ambiente climatizzato - dice ancora - il più vicino a Stava, anche se sul versante altoatesino. Fu un battesimo del fuoco". Intanto, iniziavano ad arrivare in valle gli alpini del IV Corpo d'Armata di Bolzano e poi i vigili e i volontari da Tesero e da Fiemme. E poi da ancora più lontano. Alla fine, nel pieno delle operazioni, parteciparono ai soccorsi almeno 18mila uomini. Ma alla fine. Nelle prime ore, da Bolzano, il telefono di Mario Urzì era il più caldo. Lui sempre in linea, a tessere i primi rapporti a caldo, a chiamare questori e comandanti dei carabinieri. Viale Eugenio di Savoia sarebbe stato a lungo il cuore pulsante della macchina. A Stava, ad un certo punto, giunse anche Giuseppe Zamberletti, che quella macchina della protezione civile aveva da poco posto in essere, dopo averla praticamente inventata. "Ma chi la mise in pratica sul campo, agendo per la prima volta all'interno di una cornice appena delineata, fu Urzì" conferma Antonio Lampis. Un protocollo intonso, insomma, che da qui venne riempito ora dopo ora, agendo al momento, dietro le necessità immediate e che cambiavano ininterrottamente. Perchè a Stava la tragedia era subito apparsa enorme: 180mila metri cubi di acqua e di fango che avevano preso a correre alla velocità di 90 chilometri all'ora. Come decine di camion giù per il pendio. "Abbiamo passato ore e ore ad accogliere i parenti delle vittime, gente straziata e già in cerca di giustizia. Un grande dolore per tutti noi ma anche l'occasione per metterci alla prova" conclude Lampis. E mettere a regime una macchina dei soccorsi che, da allora, affiancò gli italiani in ogni prova collettiva. Ma fu da Bolzano che iniziò a far muovere i suoi primi passi. Lungo la linea telefonica di Mario Urzì, che quasi per caso di trovò a costituire la prima linea. E a difenderla. Lui e i suoi "ragazzi", nel suo ufficio di via Principe Eugenio e al fronte. P.CA.













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