Storia di Jon, il giovane poeta che crede nelle parole 

Il libro. Jon Mucogllava, 19 anni, fresco di diploma al Torricelli ha  pubblicato un libro di sonetti selezionati dallo scrittore Aldo Forbice Nato in Albania, arrivato bambino in Italia, è cresciuto a Bolzano «L’emigrazione non è facile ma ti rende curioso e aperto alla vita»


Luca De Marchi


Bolzano, Jon Mucogllava ha diciannove anni e ha appena finito il liceo scientifico Torricelli di Bolzano. Lo scorso marzo ha pubblicato presso la casa editrice Il Sextante la sua prima raccolta di poesie, «Echi da due mondi», con un’introduzione del giornalista e scrittore Aldo Forbice e alcune illustrazioni di Sara Rogani, della stessa casa editrice. «Ho incontrato Aldo Forbice al Corto Circuito di Bolzano in occasione della presentazione di un suo libro. Alla fine dell’incontro mi sono presentato e gli ho proposto alcune mie poesie. Lui ne ha selezionate cinquanta per la pubblicazione» spiega il giovane autore.

Come specifica Forbice nell’introduzione, le poesie di Jon parlano d’amore, di solidarietà e di sofferenza, entrano così in quello che è il vissuto di un italiano di seconda generazione: Jon è nato a Berat, nel sud dell’Albania, paese con tre milioni di abitanti e con alle spalle una pesante crisi economica che ha portato, in particolare alla fine del secolo scorso, molti cittadini a spostarsi in Italia, con la quale oggi ha un legame culturale e identitario forte. Jon è arrivato in Italia nel 2008, ha vissuto prima a Taranto e poi, nel 2013, si è spostato a Bolzano. «Avrei voluto un’infanzia più tranquilla e con meno spostamenti, ma è grazie alla migrazione se sono cresciuto con una mentalità aperta e curiosa» confessa Jon che oggi, oltre all’albanese e all’italiano, parla anche l’inglese e il tedesco ed è un grande appassionato di linguistica e di dialetti.

Jon racconta di non aver mai vissuto difficoltà legate al suo essere italiano di seconda generazione. «So che molte persone fanno fatica, ma io non mi sono mai sentito diverso. Anzi, sia i miei compagni, sia i miei professori mi hanno sempre sostenuto nel mio percorso artistico e non smetterò mai di ringraziarli per questo». Molti compagni di Jon, italiani di nascita, dopo aver letto le poesie rimangono colpiti dall’ampio vocabolario a cui attingono. «Anche i miei genitori fanno fatica a comprendere le poesie, ma loro hanno fatto più fatica di me a imparare la lingua e a includersi nella comunità. Purtroppo è inevitabile».

La scrittura, spiega, nasce dall’esigenza di stare meglio e di liberarsi da quello che nella poesia “La lettera” viene chiamato “il denso veleno/che rende il cuore pesante e pieno”.

«Il mio obiettivo è partire dalla mia vita e dalle mie sensazioni e trasformarle in qualcosa che vada oltre me stesso e ambisca a essere universale, a toccare la vita di tutti».

Le poesie di Jon sono tutte sonetti, la forma metrica italiana dai quattordici versi endecasillabi. «La metrica per me è importante perché, soprattutto quando sei giovane, rischi altrimenti di cadere nel banale».

Il titolo della raccolta “Echi da due mondi” si riferisce non solo ai due “mondi” dai quali proviene il giovane autore. «Parlare di distanza geografica e culturale è riduttivo. La diversità è ovunque, è fra noi»: i due mondi diventano così quelli che ci distinguono gli uni dagli altri, ma anche quelli che collegano il poeta e la società, l’autore e il lettore. «Nella poesia per me è importante coinvolgere chi legge. La poesia serve a far aprire gli occhi, a vedere e a vedersi. L’artista per me non deve per forza cambiare il mondo, ma deve lavorare con ciò che è astratto, comunicare quello che vede e che sente, i pregi e i difetti della nostra comunità, cose che magari diamo per scontate».

“Datemi un costume e guanti per dita / per sostituir emozioni assenti / con di realtà gioiosi momenti, / chissà se la voce verrà udita” scrive nella poesia “L’attore”, poesia che parla della difficoltà nel riconoscere le proprie sensazioni e nell'essere se stessi. L’uso delle parole in Jon è molto consapevole, sia quando scrive sia quando parla: «Oggi viviamo tra i due estremi di chi usa la parola superficialmente e di chi la censura. Ogni parola ha una sua potenza e imparare a usarla con consapevolezza penso sia la tappa che dobbiamo affrontare su molti fronti, nella cultura ma anche come cittadini». Tra i suoi modelli, tanta poesia albanese e tanti canti tradizionali che gli cantava la nonna quando era piccolo. “Esiliato” è il titolo di una poesia della raccolta, in cui il poeta scrive di sentirsi “perso da tempo in confini stranieri” ma, nonostante questo, Jon scrive in italiano, la lingua che oggi sente appartenergli più nel profondo.

«Essere straniero per me significa avere qualcosa da raccontare e che, bello o brutto che sia, arricchisce chi ascolta. Poi significa sapersi adattare e trasformare ogni potenziale mancanza in qualcosa di nuovo e bello». “Bello” e “bellezza” sono parole che Jon usa spesso. Ora che ha terminato il liceo si è iscritto all’università di lettere di Milano, ma proseguono le collaborazioni con la casa editrice Il Sextante e con alcune riviste culturali, tra cui una bolognese. È anche iscritto al corso di teatro “Giovani in scena” del Teatro Stabile. «Sono appassionato di cinema, giornalismo e scrittura in prosa. Credo che un artista oggi debba avere la capacità di cambiare registro e settore per portare avanti il suo percorso». Le presentazioni della raccolta poetica “Echi da due mondi” sono state rimandate a causa della recente pandemia ma, sicuro del proprio percorso, Jon non è preoccupato e anche in questo complesso periodo storico sembra dar voce all’entusiasmo di una generazione: “Innalziamo inni sulla vita grezza / tutti insieme sapendoci compagni / siam lieti di viver senza certezza”.

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