Storie di immigrazione italiana in Alto Adige

Il romanzo «Acquabianca» di Andrea Rossi, novità editoriale



Sera gelida dell’inverno del 1946, stazione di Castelbello, val Venosta: Daniele entra in una sala d’attesa, gremita di facce, per mano a suo padre. Sono sette giorni che viaggiano lungo i binari alla ricerca di un lavoro, uno qualsiasi. La loro ricerca termina il mattino dopo alla stazione di Lasa: un ragazzino di dodici anni muove i cuori a compassione e apre molte porte. Così inizia il nuovo romanzo del meranese Andrea Rossi «Acquabianca» (edizioni alpha beta, 2012, 18 euro) che verrà presentato dopodomani 18 maggio, alle ore 20.30, presso la Biblioteca civica in via delle Corse1 a Merano. Presentazione e introduzione con Paolo Mazzucato.

Dalla pianura alle montagne, dai poderi che s’allungano fino al Po ai boschi e alle rocce che salgono ripidi, dalle nebbie umide ai cieli tersi e ghiacciati, dalla terra da coltivare a quella da perforare per incanalarci dentro l’acqua e la sua energia o per estrarne l’oro bianco del marmo: questo il destino di Daniele e del padre Santo.

È dalla curiosità discreta, ma insistente, di quell’emigrante in calzoncini corti che si ricostruisce la storia di quei luoghi, le ragioni della loro presenza lì e di quella di centinaia e centinaia di altri lavoratori. A un ragazzino che lavora sodo, con impegno e precisione, si può ben regalare qualche confessione sui segreti di povere vite e sui destini più grandi che su di esse hanno fatto affidamento.

È dall’incontro con altre figure che Daniele esaudisce il suo naturale desiderio di conoscenza e il lettore, con lui, ricompone i quadri che raccontano gli slanci avventurosi di chi volle elettrificare l’intera valle e, insieme, i timori e le ostilità della popolazione locale che visse tutto ciò come l’ultima imposizione di uno stato che, ancora una volta, pareva non riconoscerli.

Ma Lasa ha anche un tesoro tutto suo, il marmo, fonte di qualche ricchezza e di molto orgoglio per un paese che ha vissuto per secoli della immutata fatica dei campi e della transumanza. Daniele, cresciuto negli anni e nell’esperienza del suo lavoro d’ufficio, trova quindi impiego presso la Lasa Marmo all’inizio degli anni ’50. Ed è Emilio, uno dei primi saliti dalla Toscana, a fargli scoprire la lunga storia di quell’impresa tra entusiasmi fortunati e cocenti delusioni, tra confini che cambiano e regimi che hanno messo gli occhi su quel marmo e tra continui arrivi e partenze di immigrati italiani. Su tutto ciò, la guerra giunge a fare in qualche maniera da spartiacque tra un prima e un dopo, in cui la linea di continuità è dettata dalla fatica del lavoro e dalle difficili condizioni di vita. Per tutti, locali e non. Gli anni ’60 infine, se sono quelli delle bombe degli irredentisti sudtirolesi, sono anche quelli degli scioperi alla Lasa Marmo con le mogli degli operai, anche quella di Daniele ormai uomo, che vanno davanti agli uffici della direzione a sventolare le cambiali non pagate e i libretti dei conti aperti nei negozi. La vicenda si chiude così una notte del 1964, una notte agitata negli animi ma senza vento, che Daniele trascorre nel buio, su un blocco di marmo accanto a un compagno di lavoro e di proteste: confessioni, ricordi, slanci di una notte che guarda ancora ostinatamente al domani.

Andrea Rossi racconta questa storia di «emigrazione interna» che ha portato migliaia di italiani nelle città e nelle valli dell’Alto Adige, terra ostile non solo per la natura, e segue la vita il destino di questo ragazzino arrivato subito dopo la guerra fino agli arbori del 68: i tempi delle prime lotte operaie alle cave di marmo, ma anche tempi dei «bombaroli».

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