Storie di Natale/ Le speranze dell'orologiaio


Fabio Zamboni


BOLZANO. Al numero 17 di Via Argentieri il tempo si è fermato. E non solo perché stiamo parlando di orologi da riparare: in una casa del Seicento che dimostra tutta la sua età, si imbocca un avvolto e si sale una scala in pietra con i gradini, originali, divorati da quattrocento anni di onorato servizio. Al primo piano, su una vecchia porta di legno, un modesto cartello di cartone annuncia l'essenziale: «Peintner, Uhrmacher - orologiaio».

E la versione tedesca è, come al solito, più efficace: qui lavora quello che "fa" gli orologi. Il protagonista della nostra prima "storia di Natale" in realtà... sono due: Helmut Peintner, 70 anni, che ha aperto il suo laboratorio nel 1968, e il figlio Hannes, 39 anni e nel cassetto, assieme ai pezzi di ricambio e agli utensili, un sogno realizzato a metà, diventare un campione dell'hockey su ghiaccio (ha smesso a 18 anni dopo essere diventato portiere della nazionale giovanile).

Il Natale dell'orologiaio, in una Bolzano convertita al turismo di massa, ai marchi che sotto i Portici hanno scalzato i negozi storici, ai grandi numeri di Ötzi, ai nuovi Swatch di plastica, ricorda un po' quello di Scrooge, personaggio dickensiano. Ma qui non ci sono avari pentiti. C'è un lavoro in via di estinzione che annuncia un Natale con una doppia riflessione: quella del vecchio Peintner che si arrenderebbe serenamente e che pensa alla chiusura, e quello del giovane che coltiva speranze: «Se chiude prima qualche altro - e purtroppo questo sta accadendo - lavoro ce ne sarà ancora per anni. E poi credo che questa crisi porti la gente a recuperare vecchie cose che aveva messo in cantina e ad aggiustare quello che prima buttava». Per Helmut Peintner - che gli amici chiamano "Ratzinger" per via di una sua lontana parentela col Papa: il padre era cugino della nonna del vero Ratzinger - sarà un Natale senza uno dei suoi amici più cari, quel Robert Psenner che gestiva Sport Reinstaller e con il quale quasi tutti i giorni giocava alle carte.

Messa sull'albero anche la boccia del dolore, entriamo in questo presepe che assomiglia alla bottega di Geppetto: orologi dappertutto, quelli nuovi in una vetrinetta in cui fanno bella mostra di sé quelli marchiati H.Peintner, in vendita, e quelli da riparare sparsi ovunque. Pregiate pendole, cucù, orologi da tavolo anni Sessanta, orologi da polso in riparazione. Un tornio, tanti utensili, una stufa, un soffitto decorato. Qui davvero il tempo si è fermato. «Ho incominciato nel'54 - ricorda Helmut - andando in giro a imparare: quattro anni di apprendistato un po' a Bolzano e un po' a Predazzo, senza guadagnare nulla. Poi un paio d'anni a lavorare a Lana, quindi la naja: in giro per tutt'Italia, da Genova a Roma, a Napoli e Trieste.

Negli anni dei "fuochi" non lasciavano più due sudtirolesi nello stesso reggimento. Ci controllavano, insomma. Al ritorno a Bolzano ho incominciato a lavorare in casa: volevo fare l'orafo, ma non c'erano scuole e allora ho scelto gli orologi, aprendo il laboratorio nel 1968». I Peintner hanno clienti in tutt'Italia e anche all'estero: «Ci sono otto orologiai in tutta la provincia, ma gli ultimi anni sono stati difficili per tutti. Aggiustiamo di tutto, dai vecchi cucù ai nuovi orologi elettronici e al quarzo. Anche quando non si trovano più i pezzi, li creiamo noi. Mettiamo le mani anche su certa robaccia cinese che spesso costa meno della riparazione. Un cliente protestava perché gli abbiamo chiesto 7 euro per una piletta: lui l'orologio l'aveva pagato 5 euro sulla spiaggia...».

Clienti famosi? «Il mitico Sepp Maier, portiere della nazionale tedesca che vinse il Mondiale, ci ha mandato un orologio da tavolo e glielo abbiamo sistemato. L'ho conosciuto - ricorda Helmut - giocando a golf. Durnwalder? No, non è mai venuto a trovarci, ma la sua prima moglie Gerda era sempre qui, perché al presidente regalavano dozzine di orologi e lei ci teneva ad averli sempre perfetti». Riparazione e vendita... «Accessori come cinturini, pile, eccetera. E poi assembliamo orologi nuovi con il nostro marchio. Del resto è difficile fare concorrenza a internet. E su questo potremmo raccontarne di belle. Pensi che arrivano qui clienti felici perché hanno fatto l'affare: aprendo certi "affari" di marca, abbiamo trovato all'interno movimenti (si chiama così il meccanismo dell'orologio; ndr) usati oppure in plastica».

Gli orologi più preziosi passati per le vostre mani? «Una pendola del 1825: lavorarci è stata una grande soddisfazione. Noi firmiamo il nostro lavoro all'interno e a volte ci capita, dopo tanti anni, di rimetterci mano: è bello ritrovare la nostra firma. Una cosa curiosa è che tanta gente ci ha portato orologi che non è più venuta a ritirare. E un'altra riguarda un assessore provinciale che una volta ci ha portato due vecchi orologi: quando gli abbiamo fatto il preventivo se li è portati via. Si vede che guadagnano poco...». Che cosa servirebbe a garantirvi un altro Natale qui dentro? «Per fare questo lavoro ci vorrebbe anche meno burocrazia. In Germania i piccoli artigiani come noi pagano davvero le tasse che devono, grazie a studi di settore fatti come si deve, mica come in Italia».

È l'ora di pranzo, lo dicono in coro le dozzine di orologi che foderano le pareti del laboratorio. Salutiamo Helmut e Hannes lasciandoli con le loro riflessioni natalizie: uno ha davanti la serenità del nonno che ha dato e ricevuto tanto dal suo lavoro e che ora può dedicarsi ai nipoti; l'altro coltiva un po' di speranza. E di questi tempi non è poco.

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