Svp, la crisi di un modello

di Andrea Di Michele


Andrea Di Michele


La lunghissima fortuna elettorale della Svp si è costruita attorno a due elementi: identità e risorse finanziarie. E’ su queste due gambe che il partito di raccolta sudtirolese ha camminato negli ultimi decenni. Il richiamo all’identità sudtirolese è fin dalla sua nascita inscritto nel Dna della Volkspartei.
Che si è data quale compito principale quello di difendere i caratteri della sua gente, considerati a rischio nella cornice dello Stato italiano. Le risorse, invece, sono arrivate dopo. Soprattutto con il secondo Statuto di autonomia e il conseguente trasferimento di ampie competenze dallo Stato alla Provincia, il partito di maggioranza assoluta si è trovato a gestire compiti e fondi crescenti. Erano e sono risorse finanziarie della Provincia, ma, dato il peso elettorale e politico dell’Svp, di fatto nella disponibilità del partito. Sono stati i presidenti della Giunta provinciale (tutti Svp) e gli assessori che si sono succeduti nel corso degli anni (in larghissima parte Svp) a gestire il tesoro del bilancio provinciale. A cascata, sono poi stati gli amministratori locali (in larghissima parte Svp) ad avere in mano il portamonete dei singoli comuni. Distribuire risorse, si sa, consente di costruire e consolidare il consenso. L’Svp lo ha fatto consapevolmente, cercando di premiare con equilibrio i diversi settori sociali del suo elettorato di riferimento. Dai contadini agli impiegati pubblici, dagli imprenditori agli artigiani e via elencando, chi più chi meno, tutti potevano dirsi soddisfatti. Va riconosciuto che l’impiego delle importanti disponibilità finanziarie di cui ha goduto la Provincia di Bolzano è avvenuto secondo modalità ben diverse da quelle adottate in altre realtà italiane. Si pensi, ad esempio, alla Sicilia e alla gestione criminale di quell’autonomia regionale. In Alto Adige si può a ragione parlare di buon governo, in una cornice caratterizzata da risorse altrove impensabili. Oggi il modello dell’autonomia in espansione, basato sulla gestione e la distribuzione di risorse sempre crescenti, sembra entrato in crisi. Alla base vi sono le generali difficoltà economiche e la particolare debolezza finanziaria dell’Italia. Per la prima volta la Provincia non si trova a dover scegliere come distribuire nuove disponibilità, ma a decidere su chi far pesare i tagli. Se prima la forza della Svp stava nella possibilità di accontentare tutti, oggi la sua debolezza sta nel dover scegliere chi più penalizzare. Fino ad ora, le diverse componenti interne al partito sono riuscite a convivere bene, ciascuna potendo garantire un adeguato sostegno al proprio elettorato. Oggi per la Svp si apre una fase nuova, con le diverse fazioni costrette a fronteggiarsi per la difesa del proprio più o meno grande “orticello” elettorale. E’ una competizione ancora blanda, così come tutto sommato blandi sono i tagli necessari, ma che nei prossimi anni potrebbe diventare assai più accesa. Potrà diventarlo a causa dell’ulteriore calo delle risorse, ma anche per il pensionamento di Durnwalder. L’attuale Landeshauptmann, nel bene e nel male e anche talvolta a costo di non prendere decisioni chiare, ha saputo mediare tra le diverse anime del partito. Il successore potrebbe avere una più evidente connotazione di parte e quindi essere meno disposto a cercare la mediazione. Attualmente i rapporti di forza sono piuttosto chiari, con la debolezza degli Arbeitnehmer e l’egemonia dell’ala economica. Non è un caso che il blocco quadriennale degli stipendi dei dipendenti pubblici (compreso l’adeguamento all’inflazione) sia passato senza colpo ferire, mentre non passa giorno senza che i rappresentanti delle diverse categorie economiche alzino la voce contro eventuali tagli ai loro danni. Evidentemente sanno che vi sono orecchie disposte ad ascoltarli. Ma sulla questione dei tagli necessari e delle crescenti difficoltà di bilancio di palazzo Widmann c’è un aspetto che mi sembra sottovalutato nell’attuale dibattito pubblico. Negli ultimi decenni, un elemento centrale della gestione dell’autonomia provinciale è stato l’incessante rincorsa alle competenze statali, dalle strade alla scuola. Il gioco era reso più facile dalla crisi di bilancio dello Stato, che ben volentieri era disposto a cedere proprie competenze a costo zero. Oggi ancora si parla della possibilità di provincializzare le poste locali e i suoi tanti dipendenti. Ovviamente anche questo senza che aumentino i finanziamenti statali e quindi con un ulteriore carico sul bilancio provinciale. Ma è davvero sensato rincorrere ogni genere di competenze allo scopo di assomigliare sempre più a uno staterello autonomo, aumentando di conseguenza i costi fissi e diminuendo parallelamente i margini di impiego delle risorse disponibili? Non dovrebbe la Provincia mirare al controllo soltanto dei settori davvero decisivi, del software più che dell’hardware? Non è che la cessione delle competenze da parte dello Stato si stia rivelando come una mela avvelenata, i cui effetti iniziano ad avvertirsi? Del resto, nel luglio 1996, quando fu approvata la provincializzazione della scuola altoatesina, al ministero del Tesoro c’era Ciampi, uno che i conti li sapeva fare bene.

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