Tarfusser: i carnefici di Srebrenica ancora sotto processo all’Aja

«Tempi lunghi, ma chi compie certi crimini viene punito» I motivi: «Ideologia o religione innesco per questi conflitti»


di Antonella Mattioli


BOLZANO. L’11 luglio del 1995, a Srebrenica, il massacro di 8.372 tra uomini e ragazzi musulmani bosniaci: il peggior crimine di guerra in Europa, dopo la fine del Secondo conflitto mondiale. Le commemorazioni, svoltesi a 20 anni di distanza, sono l’occasione per parlare con Cuno Tarfusser, già capo della Procura di Bolzano e oggi vicepresidente della Corte penale internazionale dell’Aja, dei procedimenti in corso per perseguire i carnefici di allora e di oggi.

Lei si è mai occupato di questa tragica pagina della storia dell'ex Jugoslavia?

«No, non mi sono mai occupato direttamente dei crimini commessi nell’ex-Jugoslavia per giudicare i quali il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 1993 ha costituito un Tribunale ad hoc, il Tribunale per l’ex-Jugoslavia (ICTY). Io sono giudice alla Corte Penale Internazionale che esiste solo dal 2002 e quindi mi occupo di crimini internazionali commessi dopo quella data».

A che punto è il processo a Ratko Mladic, il comandante serbo che guidò le truppe a Srebrenica?

«All’ICTY sono ancora in corso due grandi processi, entrambi imperniati sui fatti di Srebrenica. Sono i processi a carico di Radovan Karadzic, l’ex leader dei serbi di Bosnia, e di Mladic appunto: il politico e il militare. Entrambi i processi sono in fase avanzata, quello a carico di Karadzic, arrestato nel 2008, dovrebbe concludersi in autunno, mentre quello a carico di Mladic, arrestato solo nel 2011, è ancora in fase di assunzione di prove».

Il premier serbo Aleksandar Vucic presente alle commemorazioni della strage di Srebrenica è stato preso a sassate: quanto tempo ci vorrà per arrivare ad una reale pacificazione?

«Diverse generazioni, temo».

Da allora cos'è cambiato per quanto riguarda la possibilità di perseguire gli autori di crimini di guerra?

«Molte cose: la più importante è certamente la creazione, da parte della comunità internazionale, della Corte Penale Internazionale quale primo Tribunale transnazionale e sovranazionale permanente e indipendente con il compito di contrastare l’impunità dei responsabili per i cosiddetti crimini internazionali, ovvero i crimini di Guerra, i crimini contro l’umanità e i genocidi. Non più Tribunali ad hoc, quindi, costituiti di volta in volta per giudicare crimini commessi nel passato, come appunto l’ICTY, ma un Tribunale permanente che giudica i crimini commessi dopo la sua entrata in vigore».

Lei in qualità di presidente della Divisione per le indagini preliminari della Corte penale internazionale dell'Aja di cosa si occupa esattamente?

«Essendo da oltre sei anni alla Divisione per le indagini preliminari ho avuto modo di trattare tutti i casi che in questi anni sono stati all’attenzione della Corte: dal Kenya (presidente Kenyatta), alla Libia (Gheddafi e figlio); dal Sudan (presidente Al Bashir), alla Repubblica Democratica del Congo (vicepresidente Bemba) ed altri. Attualmente mi occupo in particolare di crimini commessi in Uganda, nel Mali e della vicenda dell’attacco israeliano ad un gruppo di navi che trasportavano materiale umanitario destinato a Gaza».

C'è la possibilità che gli autori di certi crimini - come quelli che in questo momento stanno sconvolgendo il continente africano - vengano davvero puniti una volta individuati?

«Certamente la possibilità c’è, visto che la Corte è stata costituita proprio a questo scopo. Detto ciò bisogna ammettere che la Corte è un organismo internazionale del tutto nuovo che, da un lato, deve ancora affermarsi con il proprio lavoro serio e indipendente, dall’altro essere accettata nell’ambito della Comunità Internazionale, uno scenario estremamente difficile e complesso. A questo riguardo faccio riferimento al recente caso del presidente del Sudan Al-Bashir - colpito da mandato di cattura della Corte per i crimini commessi nel Darfur che, nonostante precisi obblighi derivanti dalla legge e da un mio provvedimento che ribadivano questi obblighi - non è stato arrestato dal Sudafrica in occasione di una recente visita in quel Paese. Quindi, la strada verso un sistema penale internazionale che funzioni nel modo auspicato è lontana, ma ci stiamo lavorando giorno per giorno. Se però penso che fino a 13 anni fa la responsabilità penale internazionale era inesistente, il fatto che oggi siamo qui a parlare come migliorarla è già un enorme successo».

C'è un filo conduttore (la religione?) che in qualche modo accomuna i diversi crimini?

«I crimini internazionali vengono generalmente commessi nell’ambito di conflitti armati di natura nazionale (guerre civili) o internazionali (guerre). Mi sembra difficile negare come l’innesco per questi conflitti sia quasi sempre l’ideologia o la religione nella loro interpretazione più folle e perversa».

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