L'INTERVISTA

Tommasini dopo il voto: «Non ho capito di essere bruciato» 

«Non pensavo ci fosse un’onda così negativa Le coop mi hanno voltato le spalle. Non ho aiutato gli amici»  


di Francesca Gonzato


BOLZANO. «Buongiorno colleghi»: seduta di giunta per Christian Tommasini martedì mattina. La prima dopo le elezioni, dopo l’esclusione dal consiglio provinciale. Con questa giunta Tommasini continuerà a lavorare per diverse settimane, fino all’elezione in Consiglio del presidente provinciale. Tommasini è la vittima eccellente del dimezzamento degli eletti del Pd, passati da due a uno, e del sorpasso di Sandro Repetto, che lo ha battuto per 2.562 preferenze a 2.074. Una sconfessione eclatante per l’assessore provinciale dopo due mandati. Nel 2013 aveva ottenuto 6.829 voti. Tommasini è rimasto in silenzio due giorni.

Quale impressione le ha fatto tornare in giunta?

«La mancata elezione è abbastanza metabolizzata. I colleghi sono stati gentili, mi hanno detto che sono dispiaciuti a titolo personale».

Nel Pd dopo il flop in molti escono allo scoperto, dicendo che la sua terza candidatura è stato un errore.

«Adesso è facile. La scelta era stata votata in assemblea. Per mesi avevo pensato di non ricandidarmi. Il nostro mondo non è come quello di Urzì, in cui è possibile stare in consiglio provinciale 25 anni. In un momento di difficoltà del Pd, dopo le elezioni politiche, è prevalsa l’idea che se mi fossi tirato fuori avrebbero potuto accusarmi di abbandonare la nave. Per me è sempre stato chiaro che la giunta provinciale non era per sempre».

Sciolta la giunta, dove tornerà a lavorare?

«Sono un dipendente dell’ufficio Biblioteche del Comune di Bolzano. Mi assegneranno un incarico».

Non sarà facile tornare in ufficio dopo dieci anni come assessore, con l’auto blu, lo staff, l’immagine pubblica e il potere.

«L’auto blu non la uso da cinque anni. Il ruolo pubblico mi ha pesato in certi momenti. Sono state diffuse, credo ad arte, dicerie su di me. Non è facile».

Negli ultimi giorni però lei aveva capito che rischiava.

«Sì, è vero. In questi dieci anni abbiamo fatto tante cose, dalla scuola plurilingue agli anticipi fiscali, alle botteghe della cultura. Nella nostra area c’è purtroppo l’idea che governare sia lacerante e porti compromessi, quindi bisogna purificarsi dall’onta di avere governato. Ma si vince insieme, si perde insieme. Io mi prendo le mie responsabilità, ma rivendico che abbiamo fatto più di quanto non venga percepito. Purtroppo siamo entrati nell’epoca in cui prevale il percepito. Essere da soli in giunta non è stato facile, rischi di fare da parafulmine. Sono stato più spesso in disaccordo di quanto non sia trapelato».

Cosa le ha fatto pensare un risultato così pesante?

«Il renzismo ha solo ritardato il processo di crescita del sovranismo. Per ricostruire una proposta politica servono anni. Sembra facile, sembra che sia necessario catturare clic sul web. Ho scelto di non scappare dalla nave, perché penso che tante persone abbiamo ancora bisogno di avere punti di riferimento e di serietà. Credo ancora che sia stato giusto metterci la faccia. L’ipotesi di confermare il secondo eletto era plausibile. Abbiamo avuto anche problemi organizzativi. Nelle case non è arrivato il dépliant con le fotografie di tutti i candidati. Se ne sta occupando il nostro tesoriere, perché è stato un danno grave».

Sta pensando a quali sono stati i suoi errori?

«Non avere capito che l’onda negativa era così forte, avere sottovalutato quanto sia logorante essere soli in giunta. Ci serve un rilancio non solo politico-amministrativo, ma proprio una visione».

Non crede che al Pd e alla Svp gli elettori stiano presentando il conto dei tanti anni al governo, con gli incarichi di sottogoverno, i professionisti amici, le cooperative, il mondo della scuola in cui fatica ad emergere chi non è di area?

«Durante la campagna elettorale ho visto autorevoli esponenti della cooperazione che si sono schierati da un’altra parte».

Lei ha finanziato molte cooperative culturali.

«Non sono miei amici, molti sono di fuori e non votano nemmeno in Alto Adige. Direi esattamente il contrario: ho puntato sul voto di opinione, che è crollato con la crisi del Pd. In questa fase vince chi è più strutturato sulle preferenze e le relazioni personali».

È stato accusato di avere difficoltà nei rapporti interpersonali. L’hanno criticata per la sfilata in pantaloni corti all’Adunata degli alpini.

«È vero, non ho pensato che la politica dovesse concentrarsi sul coltivare rapporti. Avevo un’altra idea».

Il Pd propone alla Svp una giunta con Repetto e il verde Dello Sbarba. È una mossa dovuta ma illusoria?

«No, è giusto mettere la Svp di fronte a una scelta. La Lega non è inevitabile. I suoi elettori saranno felici di iscriversi alla famiglia europea di Salvini e della Le Pen? Il mio appello alla Svp è questo: teniamo aperta la nostra terra. Le chiusure fanno male alla società e all’economia».

Pace con Repetto?

«Certo, siamo dalla stessa parte. Non mi sono trovato a mio agio nella campagna elettorale, ma forse è vero che non c’erano alternative. Se fossimo stati eletti entrambi e se ci fosse stata una giunta, consideravo abbastanza scontato che fosse Sandro l’assessore».

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