Toponomastica, spazzata via la legge

Il governo impugna la norma provinciale: nomi italiani intoccabili. Durnwalder: «Nulla di buono da Monti»


di Francesca Gonzato


BOLZANO. Il governo fa a pezzi la legge provinciale sulla toponomastica. Il Consiglio dei ministri ha impugnato ieri il testo approvato dal consiglio provinciale il 16 settembre. Il ricorso alla Corte Costituzionale era in fondo atteso, ma non con una tale portata di argomenti contro l’impianto della legge provinciale. Il lungo testo dell’impugnativa non lascia in piedi praticamente nulla del testo della Svp. L’impugnativa fissa l’obbligo di bilinguismo in Alto Adige, blindando l’attuale toponomastica italiana. Che è fissata in legge statale vigente, viene specificato, e non è a disposizione della legislazione provinciale. Inaccettabile, viene detto, il principio dell’uso, caposaldo della legge.

Va invece introdotta la toponomastica tedesca, sottolinea l’impugnativa, che sarà «aggiuntiva» a quella italiana. L’argomentazione del Consiglio dei ministri poggia su Accordo di Parigi, Statuto e legislazione italiana. Il Pd aveva votato a favore della legge dopo l’introduzione di alcuni emendamenti ritenuti migliorativi. Ma anche quei passaggi non vengono risparmiati dal governo, che dichiara l’illegittimità della procedura legata alla verifica dell’uso di un toponimo a livello di comunità comprensoriale e i poteri affidati a una commissione paritetica, la cui sostanziale pariteticità viene negata dal governo.

La legge era passata con 20 sì (Svp-Pd), 12 no (le opposizioni), due astensioni (Verdi) ed un'assenza, quella di Elena Artioli (Lega). Esulta il centrodestra, dopo la missione di Vezzali, Seppi e Urzì questa settimana al ministero dell’Interno e qualche settimana fa al ministero degli Affari regionali da Piero Gnudi. Soddisfatti anche i Verdi («sconfitta la cocciutaggine della Svp e del presidente Durnwalder») e Sel («la legge va subito abrogata»).

Questa la reazione di Luis Durnwalder: «L’impugnazione da un lato mi sorprende, perché gli incontri avuti nelle scorse settimane a Roma ci facevano sperare. Dall’altro lato no, perché ormai sono abituato a non aspettarmi nulla di buono da questo governo». Mentre per i toponimi «maggiori» nella legge provinciale vale il principio del bilinguismo, il reale uso di quelli «minori» (come malghe e cime di montagna) viene verificato a livello comprensoriale e approvato da un apposito comitato provinciale. Una impostazione integralmente contestata.Ecco i passaggi principali dell’impugnativa.

I principi. Sia l'Accordo di Parigi, sia gli articoli 8 e 101 dello Statuto, si legge nell’impugnativa, «danno per presupposta l'esistenza storica e l'obbligatorietà giuridica della toponomastica in lingua italiana già introdotta al momento della loro entrata in vigore, in quanto precedentemente codificata dalla relativa legislazione statale tuttora vigente, prevedendo (e consentendo) unicamente la reintroduzione ufficiale e l'utilizzazione su un piano di parità della toponomastica in lingua tedesca (e ladina) in precedenza vietata e rimossa». Accordo di Parigi e Statuto fissano «l’obbligo della bilinguità», muovendo «dal presupposto che quella in lingua italiana esiste già e che ad essa va semplicemente parificata quella in lingua tedesca (e ladina)». D’altronde lo Statuto stesso prevede l’italiano «lingua ufficiale dello Stato».

Le procedure. Durissima l’analisi sul metodo della legge secondo cui «ogni toponimo è raccolto nelle versioni in lingua tedesca, italiana e ladina, in quanto in uso in ciascuna di tali lingue a livello di comunità comprensoriale», e approvato poi dal Comitato paritetico. Bene, il governo ne trae la conclusione «che in futuro alcuni toponimi possano essere solamente monolingui e, in particolare, che quelli in lingua italiana già previsti dalla legislazione statale in vigore possano essere eliminati dalla toponomastica ufficiale sulla base del criterio (puramente empirico, peraltro neppure minimamente specificato dell'uso a livello di comunità comprensoriale». Ma lo Statuto «non attribuisce alla Provincia la competenza ad intervenire sulla toponomastica ufficiale in lingua italiana». Insomma, il criterio dell'uso non può essere utilizzato per intervenire «riduttivamente sui toponimi ufficiali in lingua italiana».

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