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Triplicate le chiusure dei negozi: «Mancano nuovi imprenditori»

Sempre più vetrine si svuotano. Philipp Moser (Unione): «Chi cessa l’attività non trova chi la rileva». Benetello (Confesercenti): «Il 20% dei proprietari ha difficoltà a cedere l’esercizio. Non vanno cercate colpe altrove»



BOLZANO.  Il 2023 ha il volto sempre più triste di troppe vetrine vuote. «Cosa è accaduto? Che quest’anno abbiamo visto almeno il triplo di chiusure», rivela Philipp Moser. Allarga le braccia, il presidente dell’Unione commercio: «Il problema sono soprattutto i piccoli esercizi, quelli con un paio di dipendenti o ancora chi lavora con i figli. Questi ultimi non hanno generalmente voglia di proseguire l’attività da soli e allora quando il titolare smette, addio». E sì che l’Unione tiene la barra dritta soprattutto in centro, dove uno pensa che le cose vadano meglio. Ma anche nei paesi dove non si sa se è tutto rose e fiori. Ma è anche il centro, guardando a Bolzano, che in realtà si spoglia a poco a poco delle vetrine lì da una vita e scorrono invece, se va bene, quelle uguali qui come ovunque nel mondo.

E il resto della città? «Non mancano le idee, magari anche nostre o del Comune, mancano gli imprenditori», ammette Mirco Benetello. Lui, da direttore di Confesercenti, guarda più ai quartieri dove è fitta la presenza di negozi altrettanto storici. Ma la questione è la medesima: il ricambio tossicchia, langue, spesso non trova sponde. E si perdono le ragioni che, trenta o venti anni fa avevano indotto a rischiare, investire, crearsi un campionario.

Quindi non è solo e sempre colpa della crisi, del Covid, del Comune, dell’e-commerce? «Dobbiamo smetterla di cercare colpe altrove. Il problema è interno anche alla nostra struttura sociale e al fatto che il mondo del commercio sta crescendo in complessità di esercizio» chiarisce Benetello. Che guarda a quanto accade non solo in corso Libertà - in perenne attesa dell’arrivo salvifico del Polo bibliotecario o di una connessione meno sulla carta con gli assi degli acquisti oltre il Talvera - ma anche in via Resia, via Milano, via Torino.

Ma è proprio l’anima popolare della presenza di esercizi lì da una vita che si va perdendo a poco a poco e con lei anche gli snodi sociali e di comunicazione sul terreno: «Non è una frana. Ancora si regge - commenta il direttore di Confesercenti - ma spesso le sostituzioni non mantengono le vecchie abitudini. Perché è diverso, come spesso invece accade, se un negozio di abbigliamento tradizionale viene sostituito da un mini market con prodotti stranieri». C’è dunque da registrare uno scarto, certamente non negativo in sé, nel passaggio da una gestione e una proprietà legata al territorio e al quartiere e la nuova imprenditoria non locale.

Spesso il rapporto torna a consolidarsi, ma ciò che va registrato, insiste Benetello, «è la mancanza di una linea di trasmissione dell’attività che, come in passato, mantenga viva anche una certa tipologia merceologica». Anche per Moser il nodo sta qui: «C’è meno passaggio generazionale e chi potrebbe subentrare, soprattutto nei piccoli negozi, è spaventato dalla mole di impegno richiesto per portare avanti l’attività. Se lo si può fare con vicino famiglia e figli è un conto, da soli, i conti salgono».

Quali azioni possibili di contrasto? «L’unica risposta possibile è fare passare le persone davanti ai negozi - spiega Benetello - creare luoghi sempre più diffusi dove le persone trovino ragione per giungervi: arredo urbano, eventi di avvio, iniziative». E offre un dato alla fine: quasi il 20% dei negozianti e degli imprenditori commerciali che sono pronti a ritirarsi e a cedere la propria attività trovano enormi difficoltà nel possibile passaggio di consegne.

E dunque quella percentuale di negozi ha grandi possibilità di restare vuota. Un dato che si muove in parallelo con le cifre sugli abbandoni verificate dall’inizio dell’anno dall’Unione. Il rischio è che scompaia un mondo di piccoli negozi di vicinato. E con esso un po’ di anima della città.
P.CA.













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