Il fenomeno

Troppi videogiochi? «È una dipendenza» 

La Provincia di Bolzano riconosce il «Gaming Disorder» come una patologia. Bruno Marcato (Hands): «I casi raddoppiano ogni anno, siamo arrivati a seguire oltre 60 ragazzi»



BOLZANO. Oltre venti ore agganciati ai videogames, da soli oppure online con altri giocatori. Sono casi estremi, ma la dipendenza da videogioco non si delinea solo con il conteggio delle ore. «Nella diagnosi teniamo conto di una serie di indicatori», racconta Bruno Marcato, direttore di Hands. Diagnosi, dipendenza... In Alto Adige fino a ieri questo linguaggio non era ancora ufficiale, Ora lo è.

La giunta provinciale ha riconosciuto la dipendenza da videogiochi come una patologia, allineandosi alle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità. Attraverso questo passo, riferisce l’assessore Thomas Widmann, «abbiamo classificato la dipendenza come extra-Lea, ovvero come servizio sanitario a carico della Provincia. Così facendo, andiamo oltre le prestazioni minime previste dallo Stato. È un prerequisito per il trattamento in esenzione dal ticket, come già previsto per il gioco d'azzardo patologico».

Prosegue Widmann: «L’uso problematico dei videogiochi o "gaming disorder" sta diventando sempre più comune in Alto Adige ed è aumentato notevolmente durante la pandemia. È una delle nuove dipendenze o dipendenze comportamentali senza l'assunzione di sostanze chimiche. Le richieste di aiuto da parte delle persone colpite da questa patologia e delle loro famiglie sono in aumento ed il fenomeno colpisce in particolare le generazioni più giovani». Hands lavora sul fenomeno da circa tre anni, riferisce Bruno Marcato, «abbiamo seguito dei corsi di formazione e offriamo un servizio di sostegno». La Provincia sostiene il progetto pilota di «Young Hands», avviato dal 2018, «questo servizio è stato ora riconosciuto anche con la delibera della giunta provinciale, con il relativo sistema di finanziamento.

Riconoscere la dipendenza

Nove indicatori vengono presi in considerazione dagli esperti per determinare la malattia, sottolinea una nota: uso dei giochi per computer come attività dominante, sintomi di astinenza nella prevenzione del consumo, sviluppo della tolleranza, perdita di controllo, perdita di interesse, prosecuzione del consumo nonostante le conseguenze negative, occultamento della portata dell’utilizzo dei videogiochi, regolazione delle emozioni attraverso l'uso di giochi per computer, messa in pericolo di importanti relazioni interpersonali. «Se almeno 5 di questi aspetti sono presenti e si ripetono in un periodo di 12 mesi, il comportamento viene diagnosticato come patologico».

Casi in netto aumento

«Siamo partiti con 20 casi», racconta Marcato, «che sono diventati 40 e infine 60 nel 2021. La tendenza all’aumento prosegue». Sono in prevalenza ragazzi, «mentre le ragazze sono più esposte al fenomeno dell’uso compulsivo dei social, non è ancora riconosciuto come dipendenza», riferisce Marcato. Come intervenite? «Il primo passo è riconoscere se siamo di fronte al “gaming disorder” oppure a una depressione che si esprime attraverso il ritiro sociale. Mettiamo in campo psicoterapia diagnostica e di gruppo, interventi psicoeducativi e il lavoro con gli assistenti sociali». È una dipendenza legale e non provocata da sostanze chimiche. Oltre alla sofferenza psicologica e all’isolamento quali ripercussioni ha sui ragazzi? «Si arriva naturalmente alla bocciatura a scuola o alla perdita del lavoro», risponde Marcato. FR.G.













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