Turismo nelle Alpi, il modello sta scricchiolando

Uno studio mette in guardia: l’assalto delle macchine e il “tutti contro tutti” rischiano di produrre notevoli guast. La fotografia della situazione è contenuta nella IV relazione sullo stato delle Alpi, presentata a Bolzano


di Paolo Cagnan


BOLZANO. Cento milioni di visitatori ogni anno, 50 miliardi di euro di fatturato: le Alpi sono tra le regioni turistiche europee più forti, ma ora si trovano a un bivio: l'impatto del turismo di massa sull'ambiente (l'84% dei visitatori si sposta in macchina), la “piaga” delle seconde case, la crisi congiunturale, l'innalzamento delle temperature che minaccia di stroncare lo sci a media quota, l'abbandono dei giovani nelle professioni alberghiere e la forte concorrenza interna mettono a rischio il futuro economico dell'area.

La fotografia della situazione è contenuta nella IV relazione sullo stato delle Alpi, presentata all'Eurac di Bolzano nell'ambito della “Settimana della Primavera alpina”. Uno studio di 230 pagine che ha il pregio di analizzare dettagliatamente i punti di forza e le debolezze strutturali del sistema turistico alpino, fornendo anche le ricette per uscire dall'impasse: mobilità dolce con lo stop al traffico privato e il potenziamento dei servizi di trasporto pubblico, aumento delle attività non legate allo sci, più servizi wellness e di cura, nuove formule per attrarre i tour operator (il turismo alpino è per lo più individuale), marketing ad hoc per le stagioni intermedie, potenziamento dell'ecoturismo, promozione di un brand comune che superi le rivalità tra località e vallate.

E il turista che diventa “recre-resident”, una sorta di “ospite permanente”. Perché le Alpi devono diventare anche... il luogo dove invecchiare felicemente. Facile a dirsi: superare la rivalità tra Cortina e St Moritz, tra l’Alta Badia e Kitzbühel? Ma anche: come coniugare l’attrattività per i tour operator con le carenze infrastrutturali (aeroporti, per dirne una) e la tutela ambientale?

Le regioni alpine vivono quasi tutte di turismo, ed è da qui che bisogna necessariamente partire. Con un corollario: la montagna luna-park non è modello vincente, il surplus è dato dalla natura e dalla sua conservazione. Dunque, la chiave del futuro è il “turismo sostenibile”. Le previsioni non aiutano: per il 2030 è previsto un aumento del traffico del 30 per cento. Una mazzata. L’accessibilità alle regioni alpine è appena sufficiente, ma è la mobilità interna ad essere quasi ovunque un disastro: è qui, che la tendenza va invertita. Drasticamente.

Il turista ideale, così come disegnato dallo studio della Convenzione delle Alpi, potrà anche arrivare in macchina, ma poi userà shuttle e altri mezzi pubblici. Inizierà a frequentare la montagna non solo d’inverno o d’estate, ma anche nelle mezze stagioni, scoprendone la bellezza. Saprà apprezzare attività sportive che non siano legate allo sci (i costi di acqua ed energia legati ai cannoni potrebbero esplodere, in futuro) e si sentirà come a casa sua: non tanto perché avrà comperato un appartamento (non è più tempo), ma perché attorno a lui ci sarà un contesto di “coccole” vere, più che sorrisi affetatti da corso in “customer satisfaction”.

L’esistenza di un tessuto di piccole e medie imprese alberghiere è considerato più freno che ricchezza, a fronte di una concorrenza globale sempre più aggressiva anche sul fronte dei prezzi. Il rapporto esamina anche luci e ombre dei singoli segmenti. Wellness e termalismo, ad esempio: sono ormai imprescindibili - specie il primo - ma l’ammortamento dei costi richiede molti anni e i rischi economici sono alti, specie per le mega-strutture.

Le Alpi come destinazione estiva (la stagione bianca è trainata dai grandi eventi sportivi) offrono perlopiù genuinità ma scontano l’impatto (negativo) del mordi e fuggi, oltre che la carenza di proposte all-inclusive e di low cost per famiglie. Le aree sciistiche, considerate da sempre la punta di diamante, rischiano l’assalto del turismo di massa; e poi ci sono le pressioni delle lobbies locali per la creazione di “mostri” che promettono ricavi, dai mega-alberghi ai nuovi impianti di risalita. Ma sono le carenze infrastrutturali, il basso livello di cooperazione e la frammentazione del tessuto alberghiero, i tre punti nodali su cui le regioni alpine vengono invitate a virare. Il campanello d’allarme suona solo per chi vuole sentirlo.

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