Un Kaiser dimezzato


Sergio Baraldi


Le parole severe con le quali il presidente della Repubblica Napolitano ha richiamato il presidente della Provincia Durnwalder a rappresentare tutti i cittadini, sono un monito che segna un punto decisivo nello scontro sulla partecipazione alla celebrazione della unità d’Italia. Il capo di un governo, locale o nazionale, non dovrebbe mai dimenticare il dovere di rappresentare i cittadini senza distinzioni, sia quelli che lo hanno eletto che quelli che non lo hanno eletto. E’ una regola fondativa della democrazia moderna: le istituzioni appartengono a tutti, chi le impersona non può dimenticarsene. Se questa regola vale in ogni società, a maggior ragione deve valere in un territorio in cui le divisioni etniche possono suscitare tensioni e dove la convivenza si realizza a condizione che il modello di democrazia sia quello consensuale, dove tutte le componenti della società hanno eguali diritti, vigono la reciprocità e un dialogo paritario. Se così non fosse, se una parte (italiana o tedesca o ladina) si sentisse straniera in patria, il rischio potrebbe essere di cadere in una spirale senza fondo nella quale sono già caduti paesi come Irlanda, Belgio, ex Jugoslavia o Spagna.
La materia identitaria è sempre stata incandescente, ma è tornata a esserlo ancora più in questo inizio di secolo e, per questo, dovrebbe essere maneggiata con estrema cura. Il giusto richiamo di Napolitano, quindi, punta a garantire l’equilibrio tra le differenti componenti etniche in un luogo, l’Alto Adige, in cui questo equilibrio resta fragile e può essere messo in discussione. Una eguaglianza, ricordiamolo, sancita dallo Statuto.
La risposta grossolana di Durnwalder, che fa il verso a un Berlusconi in declino, dimostra che il capo della giunta provinciale non ha capito il senso profondo del richiamo di Napolitano. Né vale l’osservazione della Svp sulla”presunta minoranza” citata dal capo dello Stato, perché è chiaro che Napolitano si riferisce al fatto che “qui” la popolazione di lingua tedesca è maggioranza, è minoranza a livello nazionale, ma la Costituzione italiana ne garantisce i diritti.
Durnwalder finge di non comprendere che lui esce dimezzato da questa vicenda. Cresce, infatti, nella comunità italiana la convinzione che sia il presidente degli “altri”, che difenda solo gli interessi dei sudtirolesi, ma non i nostri. E’ esattamente il pericolo che il nostro giornale ha indicato subito dopo la sua intervista, quando abbiamo messo in guardia Durnwalder dall’apparire il picconatore del dialogo. Durnwalder può dire quello che vuole e scrivere tutte le lettere che vuole, ma la verità è che questa storia lo sta delegittimando, perché sta rinunciando alla funzione di custode dell’imparzialità delle istituzioni. Che non significa non decidere o non governare, ma farlo tenendo sempre presente l’interesse generale. E l’interesse generale in Alto Adige significa non interpretare in modo etnicamente fazioso le istituzioni. In altre parole: parlare e governare attraverso una sintesi in cui nessuno si senta escluso o ferito. Invece, è su questa missione delicata che Durwalder oggi sta fallendo: nella capacità di includere i cittadini non di lingua tedesca. Di questa lesione costituzionale egli ne è più consapevole di quanto non voglia lasciar trasparire: i tentativi di correggere (“Non voglio riaprire vecchie ferite”) sono il sintomo dell’indebolimento della sua affidabilità politica. Purtroppo per lui è difficile potersi liberare del groviglio identitario che sta suscitando: insistere a testa bassa o vellicare la “pancia” dei sudtirolesi, certo non lo salva dalla concorrenza elettorale della destra radicale tedesca. Durnwalder dovrebbe sapere che essere il presidente riconosciuto di qualche valle, politicamente significa poco se non è anche il presidente di Bolzano, vale a dire della comunità italiana. Hanno ragione, quindi, i cittadini italiani che giudicano negativamente la posizione di Durnwalder e vi leggono una forzatura inutile, perché invece di aprire la porta a una nuova fase dell’autonomia, la spinge indietro verso vecchie separazioni e riporta in auge uno stile Svp oggi inaccettabile. Per questo la perdita di credibilità del presidente dei sudtirolesi rischia di trascinare a una sconfitta politica l’intero partito di raccolta. Non si può governare “contro” una parte della società qualunque essa sia, italiana o tedesca. E’ un’illusione ritenere una prospettiva realistica di governo rappresentare solo il “noi” sudtirolese e ignorare quello italiano. L’uno è legato all’altro, e sarebbe ora che tutti ne fossimo consapevoli.
*** Nessuno ha chiesto a Durnwalder di festeggiare personalmente l’unità d’Italia, ma di parteciparvi come rappresentante delle istituzioni, rispettando i sentimenti e i valori della parte italiana della società. Il sindaco italiano di Bolzano, Spagnolli, è andato a Innsbruck per le celebrazioni di Hofer. E’ difficile immaginare che Spagnolli condivida il giudizio storico dei sudtirolesi, ma lo ha fatto per rispetto verso la popolazione di lingua tedesca della città. E ha fatto bene: così ha interpretato correttamente il suo ruolo di sindaco in Alto Adige. Quando è toccato a Durnwalder rispettare la democrazia italiana di oggi, la democrazia del Pacchetto e del progressivo riconoscimento dell’autonomia, ha perso l’occasione di essere il presidente di tutti. Dietro di lui, la Svp rivela la difficoltà ad assumersi la responsabilità dell’intera società come “sua” responsabilità, in uno scenario in cui non ci sono più nemici. C’è una società, anche di lingua tedesca, che vorrebbe mettere all’ordine del giorno la modernizzazione del sistema, l’innovazione della scuola, l’allargamento dei diritti individuali, che ora si trova bloccata da un presidente che polemizza con fatti accaduti all’inizio del secolo scorso. Durnwalder appare ostaggio del passato invece che costruttore del futuro. Magnago risentì del clima del suo tempo, ben più duro dell’attuale, eppure riuscì ad aprire una prospettiva per tutti i cittadini altoatesini con l’autonomia.
Oggi la Svp non riesce a parlare all’intera società. Vediamo una maggioranza demografica che perde lo status di maggioranza di governo; vediamo un presidente che perde il riconoscimento degli “altri” cittadini; vediamo passare in secondo piano la questione centrale del progetto di un futuro condiviso. Gli italiani qui sono minoranza linguistica, ma ad essere sola oggi è la Svp. Sola perché ha messo in discussione la moralità della politica.
In un colpo, Durnwalder ha regalato ai suoi una società divisa, un partito che non sa svolgere la funzione di partito di sistema, il passato che torna a ossessionare il futuro. Per di più, non abbiamo certo bisogno di Durnwalder per festeggiare l’unità d’Italia.

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