Una bussola per riformare l'Alto Adige

di Sergio Baraldi


Sergio Baraldi


Fino a qualche giorno fa avremmo potuto temere che il processo di trasformazione che investe anche l’Alto Adige fosse senza una bussola che lo orientasse. Ma negli ultimi giorni ci sono state novità interessanti: di fronte alla protesta di alcuni sindaci per i tagli ai loro piccoli ospedali, il presidente Durnwalder ha difeso il piano di riforma con parole convincenti. L’assessore all’economia Widmann ha rilasciato al nostro giornale un’intervista che merita di essere ricordata come un’indicazione strategica fondamentale. L’assessore Bizzo ha annunciato che, entro poche settimane, assessorati e società pubbliche non avranno più come criterio per l’assegnazione degli stanziamenti la spesa storica, ma il progetto che s’intende realizzare, chiudendo la fase dei contributi a pioggia. Inoltre, abbiamo registrato, sempre sulle colonne del nostro giornale, due interventi puntuali e interessanti riguardo l’agenda del territorio: quelli del presidente degli industriali Pan e del presidente della Camera di Commercio Ebner. Forse qualcosa si muove nella giusta direzione e il nostro giornale, che segnala da tempo la necessità di un cambio di rotta verso la modernizzazione e l’innovazione, non può che registrarlo. Ai sindaci che protestano, Durnwalder ha replicato: «La riforma serve a mantenere finanziabile l’intero sistema. Occorre un’assunzione di responsabilità.
Bisogna guardare al bene comune, tutti dovranno sopportare dei sacrifici». Naturalmente, il presidente ha ragione. In Alto Adige troppi non vogliono accettare il fatto che l’intero territorio vive un passaggio decisivo, che incombono mutamenti che segnano un’epoca (l’Europa, la globalizzazione), e che non si può immaginare di procedere così come abbiamo proceduto finora. Assistiamo all’emergere dei limiti del nostro modello di sviluppo.
Ci plasmano trasformazioni sociali ed economiche strutturali; la risposta non può essere il ricorso a mezze misure, o usare le armi dei conflitti precedenti per un conflitto nuovo. E’ facile per un sindaco dire che vuole l’ospedale dove nascono solo 300 bambini, scaricando i costi su tutti gli altri. Ed è facile sostenere la stessa cosa per il sindaco di Cortina, che invece di rivolgersi a un Veneto mal gestito, vuole che a pagare il suo conto sia l’Alto Adige. Invece, quello di cui l’Alto Adige ha bisogno è di accelerare lungo i percorsi di uno sviluppo diverso dall’attuale, nel quale le dimensioni della conoscenza, della qualità, della immaterialità, diventeranno determinanti. Lo spiega bene il professor Enzo Rullani nel suo ultimo libro “Modernità sostenibile”. I fattori all’origine del successo del nostro territorio (con un peso preponderante del pubblico sul privato) reggeranno sempre meno. Se si vuole avere una posizione di rilievo nell’economia globale, occorre costruire nuovi equilibri (più privato e meno pubblico) e un nuovo profilo strategico. Del resto che cosa stanno facendo le aziende e le famiglie? Le aziende, come ricorda Pan, da tempo hanno fatto della razionalizzazione la loro parola d’ordine per recuperare competitività. Stipulano alleanze per fare insieme quello che non possono fare da sole, per esempio nella ricerca e innovazione. Sia le imprese sia i loro lavoratori si sono sottoposti a una cura dimagrante.

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E le famiglie? Non è esperienza comune la ridefinizione degli stili di vita e di consumo, ricollocandoci su livelli più contenuti, più selettivi, dove il rapporto costi-benefici torna a dominare? Dove, cioè, si agisce all’insegna del minor spreco possibile? Ora quest’onda arriva sul pubblico e la sanità rappresenta la prima linea per la percentuale di risorse che assorbe, il 50% del bilancio. Ha torto Ebner quando ricorda che i dipendenti pubblici costano il 20% in più che nel resto d’Italia? E’ possibile che l’amministrazione pubblica comporti una simile spesa come se nulla fosse accaduto? Non dovrebbe fare la sua parte? Quella che comincia, quindi, è una grande riallocazione delle risorse. Il pubblico non deve smobilitare, al contrario deve mantenere una funzione centrale. Ma dovrebbe conservarla in modo diverso rispetto al passato: fornendo valore aggiunto al territorio, non solo stipendi. Quindi, più progettualità, servizi di maggiore qualità e efficienza, struttura più snella e competente, costi minori. Quando Durnwalder ricorda il bene comune riconosce che al centro del dibattito deve tornare l’universale sotto forma di interesse generale, e non il particolare sotto forma di un corporativismo chiuso agli altri. Questo è il difficile compito che hanno davanti la politica italiana e tedesca: guidare il territorio sulla strada del “fare sistema” o del “fare rete”, perché la competizione già iniziata con gli altri territori per la divisione della ricchezza passa dalla capacità di fare squadra, pubblico e privati, di essere migliori, di avere idee, di sperimentare soluzioni inedite. E dal ridimensionamento di certe aspettative. I sindaci dovrebbero interpretare con senso di responsabilità la transizione, come dicono gli economisti, dalla “competition” fra gli attori alla “coopetition”, mix di cooperazione e competizione. La missione più complessa è realizzare questa sinergia tra soggetti diversi, ciascuno portatore di interessi particolari divergenti.

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Se quest’opera di cambiamento culturale risulterà vincente, la Grande Riforma arriverà in porto. E’ l’intreccio tra cultura e innovazione che rende decisivo il progetto avanzato dall’assessore Tommasini di Bolzano capitale della cultura insieme al Nord Est. I risparmi devono servire per reperire risorse da dirottare verso investimenti nelle infrastrutture materiali e immateriali. Ma dovrebbero servire anche per ridurre l’Irpef ai dipendenti, come chiedono i sindacati. Questo è un obiettivo d’interesse generale, Durnwalder farebbe bene a rifletterci: ridurre l’alleggerimento del carico fiscale sui dipendenti significa sostenere la domanda interna attraverso i consumi, oltre che compiere un intervento di giustizia sociale che consolida la coesione della nostra comunità. Costa 15-45 milioni secondo le fasce che si includono, ma se Durnwalder, Widman, Bizzo mantengono quello che promettono, le risorse si possono trovare. Non a caso il presidente Ebner, che rappresenta il mondo delle imprese, si è detto favorevole. L’incertezza sull’esito della crisi e le risorse pubbliche calanti sembrano aver risvegliato la nostra società da una stagione in cui la facilità dei fondi pubblici, la diffusione del benessere, i comportamenti acquisiti hanno celato limiti e punti critici del nostro modello. Per questo la discussione sulla sanità sarà cruciale: darà il segnale che i tempi mutano. Possiamo farlo quando l’Alto Adige ancora può cambiare contenendo sacrifici e rinunce. Modernizzazione e innovazione sono bandiere che riguardano tutti: i cittadini, il commercio, il turismo, le imprese, le istituzioni. La crisi non si cura se parliamo italiano o tedesco. Non ci si può salvare da soli. L’aver rimesso in discussione una sicurezza che, in realtà, si stava erodendo, può aiutarci a costruirne un’altra sostenibile oggi. Forse non siamo senza bussola.

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