Una domenica a Don Bosco, l’integrazione possibile 

Nella piazza del popolare rione, le associazioni hanno organizzato una giornata di spettacoli, cultura e gastronomia. Per conoscersi tra vicini e battere i pregiudizi


di Gabriel Marciano


BOLZANO. Domenica scorsa in piazza Don Bosco si festeggiava il primo compleanno delle botteghe di cultura. Oltre a Youth Magazine, Don Bosco Social, CoolTour e Culture Corner, davanti alla canonica di Santa Maria in Augia, hanno contribuito a creare aria di festa i tre centri giovanili dell’associazione La Strada, il centro MusicaBlu, il centro giovanile Pierino Valer e l’associazione Donne Nissà. Tra musica, cibo etnico, giochi e treccine rasta, la giornata che ha simboleggiato il primo compleanno delle Botteghe di cultura è stata un chiaro esempio di integrazione possibile, nel mezzo di un quartiere che ospita molte persone con background migratorio. La partecipazione all’evento non è mancata: hanno fatto tappa in piazza Don Bosco diverse famiglie con bambini piccoli, ma anche giovani che hanno approfittato del bel tempo per trascorrere un pomeriggio diverso dal solito e anziani che incuriositi si sono fermati ad ascoltare le storie e la musica. U na storia molto significativa è quella raccontata da Cecilia Munoz, con Akif Kishiyev, Nansi Dib e Lisa Lerch, con lo spettacolo di arte di strada “Il talismano”, dedicato ad adulti e bambini. Il protagonista è un uomo, che non ha un nome. Si chiama Juan e dal Messico vuole andare negli Stati Uniti. Si chiama Rashid e dall’India vuole andare in Australia. Si chiama Abdul e dalla Libia vuole andare in Europa. Ma si chiama anche Giuseppe e dall’Italia vuole andarsene in Uruguay, oppure Otto e dalla Germania cerca di scappare in Argentina. La speranza di questo personaggio, che evidentemente attraversa spazio e tempo, è sempre la stessa: trovare un posto migliore per vivere. E mentre i salmoni e le balene migrano per lo stesso motivo, liberi di muoversi nel mare, l’uomo non lo è. Nel viaggio della speranza è l’uomo a partire per primo, per aprire la strada. La famiglia lo segue. E mentre il papà, partito con un talismano, arriva a destinazione, la madre rimane in mare, lasciando il bambino, che viene salvato e cresciuto dal padre. Il papà salvando suo figlio riesce a sconfiggere – anche simbolicamente – il mare e il muro, vero ostacolo alla fine del viaggio. E sul muro il protagonista scrive: «La speranza non è un reato». Le reazioni allo spettacolo – frutto di un percorso del centro multiculturale Mafalda, che lavora con genitori e bambini richiedenti asilo, e fa parte dell’associazione Donne Nissà – sono state positive. Un papà con una bambina piccola si è complimentato con la regista, Cecilia Munoz, dicendole che anche sua figlia aveva capito la storia nonostante la tenerà età, ma si chiedeva perché la mamma non ce l’avesse fatta. La risposta, per non abbattere l’ingenuità della bambina, è stata che forse la madre era stata aiutata da un pesciolino. Lo spettacolo ha fatto trasparire da un lato la delicatezza che dev'essere offerta a un bambino e dall'altro ha fatto ragionare e aprire gli occhi agli adulti, portandoli a ragionare sul senso della storia. Tra un’iniziativa e l’altra, ad accompagnare la manifestazione c’è sempre stata la musica. Il pomeriggio è stato organizzato da Thomas Traversa, del centro MusicaBlu, che ha suonato e invitato a suonare diversi giovani cantanti bolzanini, in serata il microfono è passato nelle mani del gruppo Zio Cantante. Nel frattempo la gente del quartiere ha accettato l’invito di “Donne Nissà” a conoscere la cultura dei “nuovi vicini” attraverso la gastronomia, con un pic nic. Piatti etnici sono stati serviti ai presenti, mentre sui tavoli allestiti c’erano dei fogli su cui scrivere gli ingredienti, da indovinare. Al termine della cena, i partecipanti si sono fermati a sistemare la piazza in compagnia degli organizzatori, segno senz’altro positivo dell’essersi sentiti parte integrante della festa e del quartiere. L’occasione per trovare un punto d’incontro tra le diverse culture è stata sfruttata nel migliore dei modi. Così come il senso di stare insieme e “fare comunità” prendendosi cura della piazza e del quartiere. La prima cura contro degrado ed emarginazione.-













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