Una moratoria etnica

di Francesco Palermo


Francesco Palermo


Negli ultimi mesi il clima delle relazioni interetniche in Provincia di Bolzano è peggiorato, a causa di una serie di piccoli episodi che, sommati insieme, danno un quadro preoccupante, anche perché il nesso tra questi eventi indica che si tratta non di episodi separati ma di tasselli di una strategia complessiva.
Questo, almeno, è quanto si ricava dalle dichiarazioni politiche e dal peso mediatico che queste assumono. Se però si sposta lo sguardo sul piano della vita quotidiana, dei rapporti sociali e interpersonali, l’immagine appare diversa, e parrebbe anzi che il livello di convivenza non sia mai stato così buono. Non si registrano casi evidenti di discriminazione, o comunque questi paiono minori che in passato, l’avvicinamento tra i gruppi principali sembra in crescita, e soprattutto sembrano essere altre le preoccupazioni delle persone, indipendentemente dal gruppo linguistico di appartenenza. Questo scollamento tra la realtà politico-mediatica e quella sociale è forse il vero aspetto di cui preoccuparsi. Non è una novità, perché un sistema politico e istituzionale fondato sulla personalità dei gruppi linguistici e dunque sulla loro separazione istituzionalizzata porta inevitabilmente ad aggregare buona parte del consenso intorno al fattore etnico piuttosto che in base ad altri elementi. La stessa classe politica è perfettamente consapevole di questa contraddizione, ma si sente prigioniera di un sistema di formazione e capitalizzazione del consenso che non può prescindere dal fattore etnico. La sensazione è tuttavia che questa valutazione, per quanto reale, sia in questo momento ampiamente sopravvalutata dalle forze politiche, e soprattutto dalla Svp, nella cui agenda politica il tema etnico è tornato ad assumere un ruolo più accentuato che in passato. E questo nonostante la forza del partito, negli ultimi anni, siano stati soprattutto il pragmatismo, il buon governo e la capacità di mediazione. Il partito è entrato così in una spirale per cui per contrastare la perdita di consenso, rincorre la destra sul suo stesso terreno, costringendo così questa ad un maggiore radicalismo e dovendo poi spostarsi ulteriormente per inseguirla, senza poterla tuttavia mai raggiungere a causa delle responsabilità di governo. Una tattica suicida (per il partito) e pericolosa (per la convivenza). Nel contempo i partiti italiani, ormai tutti alla ricerca del dialogo e della collaborazione con la Svp, sono impegnati nella scommessa opposta: la posizione “morbida” rispetto all’irrigidimento etnico della Svp per accreditarsi come partner di governo. Tanto che una posizione più dura su toponomastica e nomina degli esperti della commissione per i cartelli di montagna se l’è potuta permettere il Pd (che in Giunta c’è già e non vi uscirà certo per questo) mentre molto più prudente è stato il Pdl. Il risultato, un po’ paradossale, è che gli unici che accettano la linea più etnica della Svp sono i partiti italiani, anche se magari con qualche mal di pancia, mentre i partiti della destra tedesca hanno gioco facile ad accusare il partito di maggioranza di essere troppo morbido. Avanti di questo passo si potrebbe formare un fronte di etnicismo moderato SVP-partiti italiani contrapposto a quello di etnicismo spinto dei partiti della destra tedesca, che avrebbero in mano l’agenda sul punto. Con tutte le conseguenze del caso. Ne vale la pena? In fondo le posizioni radicali, su entrambi i «fronti», hanno un bacino elettorale minoritario e difficile da smuovere. L’attuale tendenza ha finora solo aumentato la visibilità e dunque, in parte, il consenso, della SüdTiroler Freiheit. Per invertire la tendenza occorre un dialogo più costruttivo. I partiti purtroppo non riescono a pensare che in termini di consenso elettorale e di conquista del potere. Ma forse saranno in grado almeno di vedere la reciproca convenienza. Così, invece di dare tanto peso alle prove di dialogo tra Pdl e Svp, o alle nomine nel sottogoverno provinciale e comunale, potrebbero vedere l’utilità di un patto informale tra tutti i partiti dell’«arco statutario» (Svp, Pd, Pdl, Verdi e piccoli partiti del centro e della sinistra italiani) per evitare i temi e i toni etnici indipendentemente da chi governa e da quali alleanze si formano. Si lasci il tema etnico a chi ne vuole fare una bandiera, sapendo che il bacino di consenso è più o meno stabile. E che la vera emorragia di voti della Svp va verso i Freiheitlichen, che guadagnano consenso non tanto sui temi etnici, quanto sulla radicale contestazione del sistema di potere Svp. Si parli invece d’altro, anche e soprattutto sui giornali. Si guardi al (buon) governo, che è una sfida essenziale specie in tempi di restrizioni finanziarie. Si lavori sulle riforme strutturali e istituzionali, che in Alto Adige mancano da decenni. Si dia finalmente il via a una pianificazione strutturale degli investimenti, ad una concezione dello sviluppo infrastrutturale per i prossimi decenni, ad una visione al rapporto con l’economia, al piano della cultura, all’identificazione delle priorità su cui investire (è chiaro che non si può fare tutto, e quindi servono scelte nette: più ricerca o più agricoltura, più welfare o più incentivi alle imprese, sanità più pubblica o più privata?). Si ripensino alcune delle modalità decisionali nell’autonomia (più o meno democrazia diretta, pianificazione strategica per le grandi opere, rapporti coi comuni), si sviluppi un progetto di cooperazione transfrontaliera in chiave di governo (meglio velocizzare i treni per Innsbruck senza le lunghe soste al Brennero o meglio le corone di spine?), si individuino modi creativi per l’uso delle competenze provinciali per sviluppare l’autonomia. Una moratoria del tema etnico sarebbe disintossicante per la società ma anche nel comune interesse dei partiti. Se non strategico, almeno di bottega. Nei prossimi anni non sono previste elezioni (salvo sorprese), le celebrazioni hoferiane sono alle spalle e la sfilata degli alpini è ancora abbastanza distante. Tutto questo potrebbe facilitare il compito.

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