Unità d'Italia: i cittadini sono rimasti soli


Sergio Baraldi


La celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia ha posto la società altoatesina di fronte ai problemi che ha davanti. E che cosa si scopre? Che italiani e tedeschi, divisi dalla ricorrenza, sono uniti dal medesimo problema: la politica.

Il mondo tedesco non ha partecipato ed era prevedibile. I cittadini dell’Alto Adige sanno bene che i riferimenti storici e linguistici dei sudtirolesi sono diversi, che la loro identità li porta a guardare altrove, e non c’è da meravigliarsi per questo. Meritano rispetto. L’impressione è che molti cittadini tedeschi, soprattutto a Bolzano, abbiano seguito la cerimonia dei 150 anni senza particolare animosità. Anche se alcuni episodi, fanno pensare che in una parte della società tedesca ci sia stata una reazione di diffidenza. In alcuni casi, è scattato il vecchio pregiudizio: se gli italiani tirano fuori le bandiere, ritornano il nazionalismo e il fascismo. Dice il protagonista del film “Tra le nuvole”: “Con lo stereotipo faccio prima”.

Quando si tocca l’identità, nel mondo tedesco c’è chi fatica a guardare ai propri vicini italiani con occhi diversi rispetto al passato. A non sentirsi minacciato E’ un sentimento che riguarda una minoranza, ma di cui si deve tenere conto. A mio avviso, in passato la comunità italiana ha commesso degli errori nel complesso rapporto con la società tedesca. Ed è vero che ci sono stati atteggiamenti di sfida che hanno contribuito a creare un pregiudizio difficile a morire (“Non possiamo fidarci degli italiani”). Ma la nostra comunità oggi è diversa. Basta leggere quello che la gente dice al nostro giornale.

I cittadini non nutrono sentimenti di rivalsa verso il gruppo linguistico tedesco, riconoscono la differenza della maggioranza tedesca, e certo non vogliono trasformare i sudtirolesi in italiani per forza. Ma i cittadini di lingua italiana sentono l’orgoglio per ciò che sono, ricordano che la Repubblica democratica, figlia del Risorgimento, ha lasciato una crescente autonomia al nostro territorio, e sembrano avere una moderata fiducia nella possibilità di costruire un futuro diverso dal passato. Persino sull’autonomia gli italiani stanno cambiando idea. Eppure settori della società tedesca non sembrano averne una percezione adeguata e vi leggono un gesto d’inimicizia. Gli errori del passato giustificano, da soli, questo atteggiamento? Il professore Palermo nel suo interessante articolo spiega che il problema culturale tra le diverse comunità è provare a capire ciascuno come pensa l’altro per potersi riconoscere. E’ certamente vero che questo vincolo psicologico e culturale impedisce una migliore comprensione reciproca. Ma ho l’impressione che a questo dato di fondo occorra aggiungere il ruolo negativo giocato della politica, italiana e tedesca. Cosa ha fatto la Svp per cercare di cogliere il nuovo maturato nella comunità italiana? E cosa ha fatto per trasmettere un’idea più esatta dei sentimenti e delle aspirazioni italiane alla sua comunità? Credo poco. Anzi, la politica tedesca ha acuito le divisioni, ha accreditato i vecchi sospetti, ha approfondito i solchi invece che colmarli.

Durnwalder è l’ispiratore di questa linea, ma è raro trovare tra i vertici della Svp delle eccezioni. Il segretario Theiner ha tentato forse di non far cadere su una visione più aperta la pietra tombale della rigidità identitaria, ma poi ha dovuto cedere al suo partito che stava rispondendo al richiamo separazionista. Sta qui l’origine della scelta di Durnwalder d’interpretare il suo ruolo istituzionale a senso unico: non come presidente di tutti i cittadini, ma solo dei “suoi”. E’ lui che dà il via a una gestione parziale, unilaterale delle istituzioni. A Montecitorio nessuno si è accorto che Durnwalder mancava, ma il rispetto istituzionale avrebbe consigliato una scelta diversa. Persino Bossi, il vero “nemico” dell’unità, ha dato una lezione politica a Durnwalder e ai suoi parlamentari, perché lui e gli altri ministri si sono presentati in Parlamento e valutato positivamente il discorso di Napolitano. Questa frattura peserà. Anche su Durnwalder, che si è rivelato un uomo del passato, che non sappiamo con quale credibilità possa inaugurare la nuova stagione autonomista di cui avremmo bisogno. Tuttavia, perché il vertice della Svp adotta questa linea? Basta la chiave identitaria a spiegare tutto? La Svp non ha avuto scrupoli quando si è trattato di trasformare la politica in contrattazione. L’on. Thaler aveva già traslocato in un altro gruppo “raccogliticcio” per sostenere Berlusconi. Hanno dovuto fermarla per non perdere la faccia, oltre a qualche parlamentare più coerente. La questione vera è che la Svp ha paura. Hobbes diceva che la risposta degli uomini alla paura è il calcolo razionale. E la paura della Svp è essere logorata dalla destra estrema tedesca, di scendere sotto la linea gotica del 50% alle prossime provinciali.

La Svp applica la sua linea razionale alla paura di doversi difendere a destra. Pone la propria salvaguardia politica come obiettivo primario. E utilizza il richiamo identitario per serrare le fila all’interno del partito e all’esterno nell’elettorato. Per questo non ha nessun interesse a spiegare alla società tedesca che la comunità italiana non è quella del decennio scorso, che è cambiata, e vuole cambiare ancora. Al contrario, ha interesse a mostrare che il fossato esiste ancora. Dall’atteggiamento sull’Unità d’Italia alla questione della Rai, la Svp sta rinunciando a svolgere il ruolo di partito-sistema, che sa guardare all’interesse generale della società, e si lascia sempre più guidare dal pensiero unico di tutelare se stessa. La domanda è: ma questo è anche l’interesse dei cittadini di lingua tedesca? E’ di questo che ha bisogno il mondo tedesco? E’ chiaro che l’identità svolge la funzione di meccanismo di compensazione per un partito privo di una vera strategia, che non riesce più, come una volta, a tenere insieme tutte le cose. Le critiche di Durnwalder agli artigiani tedeschi, pienamente fondate, sono solo l’ultimo episodio di un crescente deficit di rappresentanza che viene provocato dal governo dell’incertezza moderna. Governare è sempre più scegliere tra rischi diversi; scegliere è decidere chi scontentare.

L’identità serve da collante per coprire la crisi strategica e rappresentativa del partito. Ma il panorama non migliora se ci voltiamo alla politica italiana. Passata la festa per l’Italia unita, gli italiani hanno scoperto che, in realtà, non li rappresenta quasi nessuno. L’ex sindaco Salghetti, che ha lasciato un buon ricordo con la sua amministrazione, ha dato voce al sentimento collettivo quando ha accusato il Comune e il Pd di festeggiamenti “carbonari”. Ha ragione Salghetti. Oggi tutti corrono a un alzabandiera bis che tenterà di recuperare all’ultimo minuto l’errore madornale del 18, con una seconda cerimonia, che sarebbe quasi comica se non fosse dedicata al nostro Paese. Il teorico della linea della subalternità si è rivelato il segretario del Pd Frena, il quale ha spiegato che qui siamo in una zona di confine e, quindi, il Pd non voleva “esacerbare gli animi”, ha preferito evitare “cose eccessive”. Così a Bressanone la comunità italiana non ha potuto ricordare la nascita della nazione e a Bolzano è stata organizzata una manifestazione semi clandestina.

Se Frena fosse segretario in Sicilia, probabilmente, non organizzerebbe manifestazioni contro la mafia per non “esacerbare gli animi”, dato che anche la Sicilia è una zona di molti confini (con l’Africa del nord, con la mafia). Prendiamola con ironia, amici lettori. Ma è chiaro che questa politica senza coraggio e autocoscienza è figlia di una subalternità culturale che è l’esatto contrario di ciò che serve agli italiani. Non si è mai vista una minoranza che modella i propri comportamenti sulla base di quello che pensa la maggioranza. Semmai, dovrebbe essere la maggioranza che presta attenzione ai diritti della minoranza e ne rispetta le esigenze. A nostro avviso, è venuto il momento in cui gli italiani tornino a parlare pubblicamente di se stessi, della loro identità, del loro progetto. Non “contro” la parte tedesca di società, ma per delineare un nuovo futuro per l’autonomia, per dare un senso più compiuto alla convivenza, per realizzare la Grande Riforma che espanda le libertà di tutti e scongiuri la delegittimazione di una politica sempre meno rappresentativa degli elettori. Gli italiani oggi hanno una classe politica debole, sfilacciata. Ognuno ha colpe da farsi perdonare. Il centrodestra ha ceduto su tutto con la Svp per salvare Bondi e Berlusconi.

Ora la Biancofiore torna a sventolare il tricolore, ma sono i suoi argomenti e le sue azioni contraddittorie che alimentano i peggiori sospetti tedeschi. Il centrosinistra non riesce a dare dignità a un patriottismo costituzionale che potrebbe aprire una nuova strada all’Alto Adige e non riesce a rilanciare Bolzano come città-idea del nuovo Alto Adige. In momenti come questi, amici lettori, è vostra responsabilità tenere saldo l’orgoglio e intatta la fiducia.













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