«Vietai le cerimonie al Monumento, zeppe d’ipocrisia»

L’ex sindaco: «Così iniziò il depotenziamento. Ho perso un fratello in guerra, i caduti si ricordano in cimitero»


di Antonella Mattioli


BOLZANO. Di quel fratello che aveva 16 anni più di lui, gli rimane una foto in bianco e nero scattata in via della Posta. Ci sono Luigi, giovane sottufficiale, con sua madre Alice e suo padre Umberto, in divisa da ufficiale: era la famiglia di Marcello Ferrari, 78 anni, ex sindaco di Bolzano (1985-1988 e 1989-1995). «Luigi è morto in guerra, nel 1943, in Corsica. Di lui, nonostante le ricerche fatte assieme ai miei genitori che non si sono mai rassegnati e hanno cercato in tutti i modi di scoprire dove fosse sepolto, non abbiamo più saputo nulla: con altre migliaia di soldati è finito nell'elenco dei “dispersi in guerra”. Adesso capisce perché, il 4 novembre, quando si celebra la Festa delle Forze armate e si ricordano i caduti, per me ha un significato particolare». Con questa ferita dentro, agli inizi degli anni Novanta l'allora sindaco diede un primo strappo alla tradizione: cancellò le celebrazioni del 4 novembre al Monumento, spostando la commemorazione dei morti in guerra nei cimiteri militari. Lo ha ricordato all'indomani dell'inaugurazione del percorso museale sotto l'Arco di Piacentini Leo Martini nella rubrica delle lettere al direttore: «Credo che meriti di essere ricordato come antesignano nel processo di “depotenziamento” della Vittoria». Il 1992, l’anno della svolta non priva di tensioni non solo a Bolzano, ma pure tra governo e Provincia. Una decisione mal digerita anche dai militari tanto che quell'anno l'allora comandante delle Truppe Alpine Luigi Federici andò “in forma privata” al Monumento, provocando la dura reazione dell'ex presidente della Provincia Durnwalder.

Perché si cambiò il programma delle cerimonie?

«Era giunto il momento di porre fine alle ipocrisie».

In che senso?

«Non era opportuno andare tutti schierati davanti al Monumento con la scusa di ricordare i morti in guerra, quando in realtà si celebrava la vittoria italiana del 1918, con tutto ciò che essa ha rappresentato per il gruppo tedesco. I caduti si ricordano nei cimiteri militari».

Una decisione seguita da tante polemiche.

«Sì, ma meno di quelle che si potevano immaginare. Ritengo che la città fosse pronta».

Cosa che non era quando il suo successore Salghetti Drioli decise di cambiare nome alla Piazza.

«Un'iniziativa coraggiosa, ma avventata. Sbagliò le modalità: la popolazione andava preparata e il referendum si doveva fare prima di mettere le tabelle Piazza della Pace».

Oggi verrebbe accettato un cambio di nome?

«Una parte dell'odonomastica di Bolzano andrebbe rivista: mi riferisco oltre che a piazza della Vittoria a via Piave, via Cadorna, via Diaz tanto per citare i nomi che ricordano la prima guerra mondiale».

Il suo giudizio sul centro di documentazione aperto nella cripta?

«Positivo: va nel segno nella ricerca dell'intesa tra i gruppi. Però...»

Però cosa?

«Però il Monumento resta lì e per la popolazione di lingua tedesca rappresenta una cicatrice. Ci vorranno generazioni prima che si rimargini».

Lei vive a Carezza, nostalgia di Bolzano?

«No».

Cosa fa oggi un ex sindaco?

«Ho avuto una vita molto piena: prima assessore, poi sindaco e responsabile nazionale dei giudici dell'atletica. Poi mi sono trovato all'improvviso senza più nulla da fare».

E com'è stato l'impatto?

«Il primo anno ho avuto l'impressione di essere in vacanza, poi è arrivata la noia».

Lei però si è tenuto attivo facendo sempre sport.

«Sì, ma ad un certo punto mi sono sentito il vuoto intorno».

Ha trovato un antidoto a noia e solitudine?

«Sì, mi sono sposato: mia moglie, Mirella Fozzer, l’ho conosciuta sulle piste da sci».













Altre notizie

l’editoriale

L’Alto Adige di oggi e di domani

Il nuovo direttore del quotidiano "Alto Adige" saluta i lettori con questo intervento, oggi pubblicato in prima pagina (foto DLife)


di Mirco Marchiodi

Attualità