Test rapidi in classe

La rabbia di un papà: “Mia figlia spedita a casa per il no al tampone”

Il caso alle elementari di Brunico di una bimba non sottoposta all’esame: un compagno era positivo ed è stata allontanata. I genitori hanno protestato e sono arrivate le scuse



BRUNICO. Una questione di “informazione e di chiarezza” e una vicenda che Antonio Bovenzi riassume come “spiacevole esperienza”. Lui è il vice sindaco di Brunico, ma la storia che riguarda sua figlia, studentessa in una elementare del capoluogo pusterese, la racconta da “privato cittadino”. Ed è una storia che parte dal progetto pilota altoatesino dei test veloci nasali per il monitoraggio di contagi Covid nelle scuole.

“Martedì 9 marzo – afferma Bovenzi - la dirigente scolastica ci avverte che il giorno seguente si sarebbero tenuti i test veloci volontari. Provo a recuperare informazioni più dettagliate in merito, ma sia sul sito della Provincia che su quello dell’Azienda sanitaria le informazioni non mi sono parse per niente sufficienti”. Aggiunti “altri dubbi” (“tra cui il fatto che i test potessero venire effettuati da operatori non sanitari, anzi addirittura dagli alunni stessi”) – prosegue il papà – decido di non concedere il consenso sperando nel frattempo di capire qualcosa in più”.

Si arriva al giorno del secondo test, 15 marzo, test a cui la bimba non si sottopone, e “alle 11.18 la scuola mi comunica che mia figlia è stata isolata dalla classe. Mi invitano ad andarla a prendere perché una sua compagna era risultata positiva e mi viene sommariamente detto che la bambina deve rimanere a casa e che avrei ricevuto comunicazioni”.

Comunicazioni che non arrivano, così Bovenzi chiama l’Azienda sanitaria e, dirottato all’Ufficio igiene, trova “chi con cortesia, gentilezza e competenza mi spiega meglio le cose facendomi però comprendere come non ci siano di fatto delle direttive precise e ufficiali su come comportarsi nel mio caso.

Salta fuori anche il paradosso che mia figlia sarebbe dovuta rimanere a casa, mentre i familiari della testata potevano continuare ad andare al lavoro/scuola. In più mi viene specificato che mia figlia non era in isolamento o quarantena e che dunque potevo farla uscire di casa”.

Non sentendo la scuola, il giorno successivo Bovenzi scrive alla dirigente “chiedendo in base a quale norma/ordinanza/circolare/direttiva mia figlia sia stata prima esclusa dalla classe e poi costretta a casa per un giorno e mezzo”.

La risposta precisa “che le direttive su cosa fare erano uscite solo il giorno stesso e che secondo le stesse io potevo decidere, in attesa dell’esito del pcr sulla compagna di classe, se continuare a tenere mia figlia a casa o farla tornare a scuola. Di fatto viene confermato il mio sospetto sull’illegittimità sia dell’allontanamento dalla classe di mia figlia in attesa che l’andassi a prendere, sia del suo allontanamento dalla scuola lunedì e della conseguente negata possibilità di rientrare il martedì. Insomma senza alcun fondamento giuridico e/o normativo, a mia figlia è stato negato il diritto ad andare a scuola”.

Bovenzi precisa di non colpevolizzare la direttrice scolastica, che “credo si sia trovata vittima al mio pari di decisioni prese a diversi livelli in maniera frettolosa, superficiale e giuridicamente discutibile. Il messaggio che passa da questo discutibile modus operandi è che le decisioni vengono prese dalle istituzioni, mentre la responsabilità di quello che potrebbe accadere ricadono su terzi, genitori in primis”.

Le critiche di Bovenzi vanno a un progetto pilota “avviato senza che sia stato ben pensato, studiato e pianificato. Non è possibile che le istruzioni ai dirigenti scolastici arrivino dopo che il progetto è stato avviato. Devono arrivare prima ed essere chiare sin da subito in modo da evitare di lasciare spazio a interpretazioni, che nel mio caso hanno comportato la lesione del diritto di mia figlia ad andare a scuola. Inoltre, prevedere la quarantena al minore non testato quale conseguenza della positività di un suo compagno di scuola mi suona più come una pressione a prendere una determinata decisione che come logica conseguenza dell’aver negato il consenso al test.

A mio avviso, sarebbe più logico che, se la positività del bambino è confermata dal test pcr, non solo i compagni già testati rifacciano il test nasale, ma che anche i genitori del bambino in precedenza sottratto a tale test siano rimessi nella condizione di decidere se fare il test nasale al figlio o se porlo in quarantena. A fronte del diniego a fare il test nasale, si potrà discutere in termini di legittimità della quarantena”.

“Non sono contrario – conclude Bovenzi - al progetto pilota dei test nasali, ben venga qualsiasi proposta per garantire ai nostri figli di tornare/rimanere a scuola. Ciò che però non posso concepire è che simili importanti decisioni vengano prese senza prima aver affrontato tutte le possibili conseguenze che da esse inevitabilmente derivano.

Chiedo che venga fatta più chiarezza, in modo che tutti i genitori possano prendere una decisione ponderata. Le informazioni che girano a diversi livelli non sono sufficientemente chiare e univoche e quello che alla fine traspare, purtroppo, è che non ci sia libertà di scelta.

Sono il primo ad aver sempre rispettato tutte le innumerevoli disposizioni di questo difficile periodo ed a voler continuare a rispettarle, ma non posso e non voglio accettare che scelte apparentemente lasciate alla libera volontà dei cittadini di fatto risultino imposte”.













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