La guerra

Israele, anche figli di altoatesini chiamati in guerra dall'esercito

Dopo l’attacco di Hamas, la comunità ebraica tiene i contatti con parenti e amici. Elisabetta Rossi: «La figlia di un conoscente, 22 anni, chiamata alle armi con un sms». Steinhaus: «Efferatezze mai viste, siamo travolti dall’orrore» 



BOLZANO. Federico Steinhaus pare non abbia neppure più gli occhi per piangere. «Sono in contatto con amici, laggiù...Ci sono famiglie terrorizzate». Lo storico ex presidente della comunità ebraica meranese ha appena visto pubblicata la sua ultima fatica, una ricerca dedicata al movimento sionista e alla nascita di Israele: «Sono giorni pesanti da vivere. Siamo tutti travolti dall'orrore. Mi arrivano messaggi che raccontano di efferatezze mai viste».

Il tam tam tra altoatesini rimasti qui, a Merano o a Bolzano, e altoatesini trasferitisi in Israele è continuo. Iniziato già pochi minuti dopo l'orribile caccia all'uomo e alle donne al Nova Music Festival, il rave con centinaia di giovani nel sud del Paese. Alla fine quasi trecento uccisi, solo lì. Poi i rapimenti casa per casa a Sderot, la cittadina israeliana a un chilometro da Gaza. «Ho sentito poche ore fa del dramma di un conoscente», racconta Elisabetta Rossi, l'attuale presidente della comunità meranese, «la cui abitazione è finita al centro dei raid terroristici. Come quasi ogni casa del sud, ha una camera di sicurezza». È un rifugio? «Sì, che si predispone blindato, con una porta a prova di sparo. È rimasto lì per ore, con i palestinesi che provavano ad aprire i lucchetti. Aveva accanto i figli piccoli, tutti schiacciati contro il muro sperando che reggesse. Ha retto, alla fine se ne sono andati e almeno loro si sono salvati».

Quelli sorpresi nelle strade no. Ci sono appartenenti alla comunità altoatesina che hanno rischiato di meno. «Sono stata in comunicazione con amici che vivono lontano dai centri e dai villaggi che sono stati assaltati. Stanno più a nord», racconta Elisabetta Rossi. E loro, presidente? «Vivono comunque ore di ansia. Uno di loro ha una figlia giovanissima. Studia ancora. Poche ore fa ha ricevuto un sms dal comando militare: è stata chiamata alle armi. Ha 22 anni ed è già partita». E la famiglia? «Naturalmente prega per lei. Ma laggiù sono abituati. Donne, uomini, tutti prima o poi vanno ad addestrarsi in divisa all'uso delle armi. Israele è un Paese costantemente sotto attacco».

Giungono anche notizie da Sderot, il centro che Israele considera la città martire, quella più colpita dai rapimenti di ragazze e ragazzi. Sono stati portati via anche dei bambini con le moto dei terroristi di Hamas, dicono i whatsapp dei sopravvissuti. Si tratta di amici degli altoatesini ormai in Israele da anni. Tutti in contatto per conoscere la sorta di parenti o conoscenti. Alessandro Bertoldi, bolzanino, presidente dell'associazione «Alleanza per Israele», ha appena coordinato il ritorno a Verona di un gruppo di 36 italiani rimasti bloccati per giorni nella zona di Tel Aviv e Haifa: «C'è ancora il problema di molti connazionali che attendono il rientro.  Ho letto messaggi provenienti dal sud da fare venire i brividi. Laggiù sono convinti che vi siano ancora infiltrati da Gaza nei villaggi israeliani».

Infine il Comune. Molti palazzi pubblici in Europa e in Italia espongono la bandiera o i colori di Israele. E Bolzano? «Per legge l'esposizione di vessilli va autorizzata dalla prefettura», spiega il sindaco Renzo Caramaschi. «Ho già chiamato in mattinata il commissario del governo. Attendo indicazioni». P.CA.













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