Addio a Mario Deghenghi La sua vita come un film 

Il lutto. Cineoperatore, classe 1925, è stato un pioniere del settore Padre originario di Pola, nacque vicino a Vienna e arrivò a Merano nel 1947 dove cominciò il suo percorso con il fotografo Guido Jori Elizabeth Taylor e Sophia Loren, il dottor Singer e Magnago: gli aneddoti


Jimmy Milanese


Merano. Se ne è andato il giorno di Pasqua, Mario Deghenghi. Nato nel 1925 nei pressi di Vienna, a Merano dal 1947, rappresenta una costola fondamentale nella storia della cinematografia altoatesina e non solo. Pochi anni fa, eravamo andati nella sua casa museo di Maia Alta e lui, immerso tra le sue macchine da presa, non solo aveva spalancato le porte a una sala piena zeppa di antiche pellicole frutto di decenni di riprese in tutto il mondo, ma si era prestato a una lunga videointervista nella quale ci svelò una serie incredibile di ricordi e aneddoti del suo passato e di quello della nostra città. Oggi siamo noi ad ospitare Mario su questa pagina di giornale, ricordando alcuni passaggi di quella intervista. «Sono nato nel 1925 a Baden vicino a Vienna - raccontava -, dove vivevo nella tenuta di mio padre, originario di Pola. Pochi anni dopo ci siamo trasferiti a Vienna, poi è arrivato l'Anschluss, anche se ricordo bene che nessun austriaco era per Hitler. Entrai pure nella Hitler-Jugend, solo per tre giorni, dalla quale però mi cacciarono per via del mio carattere».

Il suo 8 settembre.

Cominciò con la cinematografia a passo ridotto: le prime riprese con la sua 8 mm. Suo padre gli regalò la prima cinepresa comprata proprio a Merano, dove venivano in vacanza prima della guerra. Poi l'8 settembre 1943, quando Deghenghi fu chiamato dalla ambasciata italiana a Vienna e chiesero di firmare per Badoglio, pena la galera. Sapeva fare foto, quindi entrò nella Propagandakompanie, gli diedero una 16mm e andò a filmare le donne che sostituivano i mariti impegnati in guerra ma anche a riprendere la costruzione delle linee telefoniche.

Abitava a Vienna nel distretto poi occupato dagli americani, e dopo la guerra L'Information Service Branch lo mandò a riprendere la ricostruzione, ad esempio i ponti del Danubio distrutti nel corso dei bombardamenti. Successivamente, negli stabilimenti della Wien Film occupati dai russi, gli chiesero di pulire le cineprese e alla fine divenne assistente di grandi operatori, condividendo l'ufficio con Georg Wilhelm Pabst. Fu aiuto operatore, carrellista di Willi Sohm, allievo di Fritz Lang, con cui riprese le fasi di ricostruzione della città.

A Merano.

Nel 1947 arrivò a Merano, dove il padre iniziò a gestire l'Hotel Astoria. Merano perché qui si parlava tedesco, la lingua di sua mamma,«anche se fu la decisione peggiore della mia vita - ci confessò -: non amo le montagne, non mi piace la città e la mentalità dei sudtirolesi è distante dalla mia». Qui però trovò Guido Jori, fotografo in corso Libertà, che gli propose di filmare per lui alcune produzioni. Il primo incarico arrivò dall’Azienda di soggiorno per la quale girarono “Merano in fiore” con protagonista la meranese Irene Patuzzi-Galter.

Quando lo intervistammo l’ultima volta, fra gli aneddoti Mario Deghenghi ci parlò del suo amico Bruno Schöpf, già gestore del cinema Odeon. «A Merano, nella sua cantina, deteneva oltre duecento pellicole cinematografiche dategli dal commando tedesco nel corso della guerra per intrattenere i militari tedeschi. Pellicole che lui tenne e alla ripresa del turismo germanico in Italia noleggiò alle sale cinematografiche presenti nelle località turistiche della penisola».

Deghenghi contribuì pure al successo del turismo germanico a Verona. Infatti, in occasione di un Festival Lirico, per la Orf venne mandato a fare le prime riprese degli spettacoli, allora zona off limits per le telecamere, proprio perché a Verona avevano bisogno di turisti tedeschi e austriaci. Invece, per la Zdf fu inviato a Venezia dove c'erano Richard Burton ed Elizabeth Taylor: «donna piccola, carina, ma niente di che, devo dire», ricordava.

A Merano, in quegli anni, venne anche Sophia Loren. L'Automobil Club di Bolzano aveva organizzato un ballo all'Hotel Bristol e in una di queste sfilate c'era lei. «Per 200 lire mi chiesero di riprenderla» raccontava Deghenghi, in quanto un produttore voleva lanciarla nel cinema. Erano gli anni degli scambi con le scuole di cinematografia tedesche e Bruno Pokorny, fondatore di Urania, aveva in mente di produrre un docufilm mensile da fare vedere in Germania. Quindi, nel 1951 fu girato “Grüsse aus Meran”, un film per finanziare le colonie altoatesine interetniche. «In un convegno al lago di Levico, il regista Luis Trenker intervenne pubblicamente a nostro favore», ci disse Deghenghi.

Con Singer.

A Merano fece anche altre esperienze professionali, ad esempio lavorò per il dottore Fritz Singer, grazie al quale girò il mondo. In Italia solo una persona realizzava filmati tecnici per dentisti e siccome Singer frequentava il Cineclub fondato da Pokorny, chiese a Deghenghi se avesse potuto fare quel genere di riprese. Si specializzò, con Singer che acquistò parte delle apparecchiature tecniche per la ripresa. Nacque un’amicizia, come con il parroco di Solda Josef Hurton che conobbe girando il film “Ogni giorno all'alba”, nel quale si narrava del suo precedessore morto sotto una valanga.

Ma l'amicizia sul lavoro lo portava a ricordare Claus Gatterer, storico e giornalista di Orf. Gatterer era amico di Pietro Mitolo col quale un giorno Deghenghi fece un servizio sul bilinguismo assieme a Silvius Magnago. «Nel corso delle riprese Mitolo - rammentava Deghenghi - chiese a Magnago di rispondergli in italiano. Lui si arrabbiò, quindi Gatterer corse da Mitolo e lo abbracciò».

La sua carriera cinematografica si concluse con Bruno Jori, con il quale girò “La settima bambola”. È la storia di Maria Rosa Pavoncelli, una bambina di quattro anni che gioca nel Passirio e perde la bambola finita poi nel campo nomadi. A quel punto, Maria Rosa si accorge di quella situazione di sofferenza e decide di regalare la bambola a una sua coetanea nomade.

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