L'INTERVISTA

«Bilinguismo in Alto Adige? Non esiste, è un’illusione» 

A tre mesi dalle provinciali, l’ex consigliera Veronika Stirner si leva dalla scarpa più di un sassolino: «Potrei dare una mano a Rita Mattei ma la distanza ideologica è troppo grande»


di Jimmy Milanese


MERANO. Dopo diciott’anni dedicati alla politica, l’ex consigliera provinciale meranese Veronika Stirner torna alla sua precedente occupazione: l’insegnamento della lingua inglese presso un istituto superiore della città. Un ritorno senza rimpianti, quello di Stirner, dopo una lunga esperienza con il mondo della politica che ancora fatica a vedere riconosciuto il ruolo della donna.

La sua carriera politica inizia a Merano, nel 2000, con l’ elezione al consiglio comunale, giusto?

«Si, tutto è partito dal mio interesse per il sociale. Mio figlio si era ammalato di leucemia. Con la dottoressa Laura Battisti e altri genitori abbiamo fondato l’associazione Peter Pan. Sono entrata in relazione con la politica perché cercavamo di cambiare le cose. A quel punto, la Svp meranese si è fatta avanti e mi ha chiesto di candidarmi per rappresentare gli interessi di chi era nella mia situazione. Al primo mandato mi hanno affidato l’assessorato al sociale. Un’esperienza importante, sono stata responsabile per gli anziani, per i senzatetto, per le scuole tedesche e per gli asili. Questo mi ha preparata per il Consiglio provinciale.

Quali erano i problemi di Merano, in questo settore?

«I problemi di allora sono i problemi di oggi. In particolare, mi riferisco alle liste di attesa nelle case di riposo per gli anziani. Alcune questioni sono difficili da risolvere, me ne rendo conto. Oggi si cerca di fare un’unica lista d’attesa: era già una mia proposta, e sembra che venga seguita».

Quale istituzione dovrebbe occuparsi del sociale, in Alto Adige?

«La competenza non deve essere del Comune, ma del Burgraviato, perché le case per anziani dovrebbero accettare anche persone residenti fuori dal loro comune».

Poi, dopo cinque anni a Merano, nel 2003 il salto in Provincia: se lo aspettava?

«Non è stata del tutto una sorpresa, anche se è stata un’elezione difficile. Mi sono candidata senza l’appoggio di un gruppo sociale della Svp. Ero autonoma, non sostenuta da una corrente specifica. Per questo è stato più difficile».

Impressioni sul primo mandato?

«Il rappresentante di circoscrizione del partito mi ha proposta come presidente del consiglio e lo sono rimasta per due anni e mezzo. Non un’esperienza facile: esistevano altri pretendenti. Una poltrona per la quale ci sono sempre delle discussioni».

Perché proprio Lei, allora?

«Spesso accade che vengano eletti presidenti senza esperienze pregresse. È il bisogno della Svp di soddisfare le esigenze delle varie correnti interne, oltre a dare rappresentanza a tutti i territori della provincia».

Merano, in Provincia, anche in questa legislatura ha solo una rappresentante, rispetto ai tre che dal punto di vista demografico dovrebbe avere. È uno svantaggio, per la città?

«Avere rappresentanti della città è un vantaggio spesso sopravvalutato. Come meranese sono stata contattata da persone di altre località, e mi sono occupata anche di loro, ovviamente. Ma è vero che il rappresentante locale ha il vantaggio di essere in contatto con la gente del luogo».

E Merano, durante il suo mandato, l’ha cercata?

«Forse mi hanno rimproverato di non aver rappresentato Merano abbastanza, ma sono stata poco coinvolta dalla mia stessa città. I politici di Merano andavano direttamente dagli assessori provinciali, e non mi coinvolgevano. Forse perché sono donna, e anche nelle valli la gente, soprattutto gli uomini, preferisce rivolgersi ad altri uomini».

Lei è stata per due anni e mezzo presidente del consiglio provinciale: com’è quel lavoro?

«Come presidente del consiglio non fai politica. Nella prima legislatura ho cercato di rimanere sopra le parti. In alcuni parlamenti non rappresenti nemmeno il tuo partito, e io ho cercato di rimanere indipendente, insomma, neutrale il più possibile».

Poi, nel 2008, la riconferma per il secondo mandato.

«Se si è già lì è più facile, ma la gente è anche più severa, spesso senza sapere come funzionano le cose nel consiglio. Un consigliere non parte dell’esecutivo non può fare più di tanto. Spesso la gente fa confusione su questo punto. I miei colleghi consiglieri non di governo, non tutti ma soprattutto quelli della maggioranza, perdono consenso e faticano a mettersi in vista».

Infine, la terza e ultima legislatura: aveva già deciso che avrebbe smesso?

«Si, avevo deciso che sarebbe stata l’ultima. Ero stanca di essere in giro costantemente, era difficilissimo fare la donna in politica ed essere anche mamma».

In questi anni l’atteggiamento della gente verso la politica è cambiato?

«Si, in modo negativo. Siamo stati criticati molto, in alcuni casi la critica era giusta, in altri infondata. Un’aggressione talmente forte che mi ha sbalordito, leggendo i commenti sui social media. Il fatto che oggi tutti si possano esprimere, dietro la tastiera, sicuramente ha acuito la protesta. Insomma, anche noi politici ci siamo abituati a questo linguaggio».

Cosa si sentirebbe di dire a Rita Mattei, unica meranese entrata con la Lega nel consiglio provinciale?

«Appartiene a un partito che non è proprio il mio, per questo non saprei rispondere. Sarebbe più facile dare consigli se lei fosse del mio partito, ma Rita Mattei è troppo lontana dalle mie idee politiche».

E dopo 18 anni torna a insegnare, giusto?

«Si, dopo 18 anni sono proprio felice di ritornare a insegnare inglese».

In consiglio come se la cavano con le lingue?

«In consiglio provinciale con le lingue si va male. Ci sono pochi che sanno l’inglese. Per me la traduzione simultanea dal tedesco all’italiano dovrebbe essere superflua, dovremmo essere bilingui. Il bilinguismo in Alto Adige non esiste ancora e non riesco realmente a comprenderne il motivo. Forse bisognerebbe istituzionalizzare i contatti tra scuole italiane e tedesche e rendere la lingua uno strumento veicolare, senza la paura di perdere qualcosa della propria cultura».













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