Città e locali quasi vuoti: «La ripresa è lontana» 

La domenica in centro. Poca gente in giro. Bar, caffè e ristoranti lavorano a ritmo ridotto: «Tra aperture e chiusure non c’è programmazione e buttiamo soldi in merce deperibile»


Jimmy Milanese


Merano. Prima domenica di apertura dopo i lockdown a singhiozzo del periodo natalizio e ieri Merano ha provato a rianimarsi. Nonostante la riapertura e le prospettive che cercano di guidare verso la ripresa delle attività economiche, sono ancora molte le difficoltà incontrate da chi gestisce un bar o un ristorante. «Con questi limiti di orario e questa riduzione del lavoro cerco di cavarmela, visto che gran parte del mio incasso si realizzava dopo le 18, l’ora in cui la gente è più numerosa e in cui devo essere chiuso», spiega Philip Tappeiner, gestore del caffè Rossini. Anche Daniele Stranieri, collaboratore del Caffè WhyNot, nonostante la possibilità di riaprire i battenti è abbastanza demoralizzato: «La città alle 12 è deserta: quando di solito a serviamo aperitivi, ora lavora solo la macchina del caffè». E se per i bar nel weekend gli affari non sono andati bene, non esultano nemmeno i caffè pasticceria. Al Caffè Mignon, la titolare Slavica Sosic chiede solo di «non dover chiudere ancora una volta. Ho dieci dipendenti, a lungo in cassa integrazione per la quale non hanno ancora visto un euro e quindi ho dovuto anticipare loro lo stipendio, ma non possiamo andare avanti così fra aperture e chiusure improvvise, senza possibilità di programmare. Per questo chiedo a chi decide di poter lavorare, in sicurezza, ma di farci lavorare».

I ristoranti, a loro volta, risentono ancora di più delle normative anti Covid. È il caso del Römerkeller in Corso della Libertà, aperto da nemmeno un anno in piena pandemia. «La gestione del fresco è un problema per la ristorazione. Ogni volta che dobbiamo chiudere, buttiamo via centinaia di euro in merce facilmente deperibile. Per mantenere costante l’offerta qualitativa e quantitativa con un afflusso di clientela così basso, vista la mancanza di turisti, la merce gettata incide sempre più sul fatturato», spiega il manager Raffaello Marangoni, che spiega come funziona l’obbligo di prenotazione al ristorante: «L’obbligo di prenotazione e registrazione dei dati dei clienti serve solo per la tracciabilità di questi in caso di focolai pandemici. Quindi, se un cliente si presenta al ristorante senza avere prenotato e c’è un tavolo disponibile, io glielo assegno ed è così che credo debba essere intesa la norma».

Tra gli esercenti, alcuni non hanno ancora alzato le serrande, perché, spiega Andrea Fenoglio che a Merano gestisce un ristorante stellato e una pizzeria, «aprire un ristorante è ora impossibile, in quanto serve programmazione e il rischio concreto è di dover chiudere nel momento in cui siamo pronti ad aprire». E Fenoglio apre il dibattito sulla differenziazione tra tipologie di ristoranti: «Chi decide su aperture e chiusure non si rende conto che esistono tipologie di aziende diverse, con diversi tipi di offerta e diversi tempi di attivazione. Più servono tempo e organizzazione e più riaprire in queste condizioni di incertezza significa essere costretti a diminuire la qualità dell’offerta».

Con il timore di una nuova stretta, a preoccupare gli esercenti meranesi intanto è anche un altro problema con cui stanno iniziando a fare i conti, ovvero la migrazione del personale qualificato verso lavori che garantiscano un reddito sicuro a famiglie sempre più in difficoltà.

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