Code per il Black Friday, negozi aperti a oltranza 

I “saldi” prima di Natale. Clienti a caccia di sconti in fila alle casse anche oltre l’apertura Costanzo (Filcams Cgil): «Servono maggiorazioni specifiche, i dipendenti sono pochi»


Sara Martinello


Merano. Code alle casse da 15, 20 minuti e negozi affollati anche a Merano per il Black Friday, la giornata di sconti eccezionali nata negli Usa negli anni Cinquanta e importata in Italia qualche anno fa. L’iniziativa sembra un affare a doppio senso per esercenti e clienti. Ma Antonella Costanzo, segretaria generale Filcams-Cgil, mette l’accento su importanti segnali dal mondo degli addetti alle vendite, all’indomani dello sciopero dei lavoratori Amazon del Piemonte.

Una giornata campale.

In provincia le associazioni di categoria dichiarano che gli affari sono andati piuttosto bene, un dato già presumibile per via della vicinanza del periodo natalizio. In città, venerdì, tra i portici e centri commerciali l’atmosfera affollata del Black Friday c’era tutta. «Ma abbiamo registrato ancora una volta un fenomeno allarmante, la cattiva organizzazione – precisa Costanzo –. Del lavoro, quindi personale insufficiente nei punti vendita, e tecnica, con linee telefoniche, connessioni e computer sovraccarichi». Costanzo fa un esempio chiaro, riferendosi a un negozio di Merano dove nel tardo pomeriggio ha fatto acquisti: «Sono stata in fila alla cassa per 15, 20 minuti, con le commesse ormai esauste per il sovraffollamento dei locali e per il carico di lavoro. Sono uscita dal negozio alle 19.10, e in fila dietro di me c’erano ancora altre persone. Le commesse avranno finito di lavorare oltre l’orario di apertura, visto che il negozio avrebbe dovuto chiudere alle 19. Questa sensazione di sfruttamento l’abbiamo da tempo».

Maggiorazioni specifiche.

Il problema è che il commercio non è più qualificato come lavoro, attesta la sindacalista meranese: «Una commessa di quarto livello percepisce 1200 euro al mese pur dovendo sbrigare le mansioni più svariate, dalla vendita all’apertura e alla chiusura del negozio, con una riduzione del tempo di vita. Questo perché il personale è definito in base a metratura e fatturato del punto vendita, quindi a fronte di affitti alti si abbassa il costo del lavoro, con aspettative più alte sugli addetti e un sovraccarico di mansioni».

Le ore in più del Black Friday sono classificate come straordinari ordinari. Non sarebbe il caso di assimilarle alle giornate festive? «Un’idea è sicuramente quella di ipotizzare maggiorazioni specifiche aggiuntive rispetto al contratto collettivo, anche se il riconoscimento economico è solo una parte del lavoro. Con le associazioni di categoria siamo in buoni rapporti, auspichiamo che anche Federdistribuzione, per esempio, si unisca a noi perché si arrivi a una contrattazione territoriale in questa direzione. Poi non è escluso che ce ne si occupi anche in sede di contrattazione nazionale».

Piccoli e grandi.

In realtà il Black Friday non è la panacea di tutti i mali nemmeno per i piccoli commercianti, che non sono in grado di applicare la stessa scontistica delle grandi catene multinazionali. «Si deve regolamentare nuovamente il commercio in sé – aggiunge Costanzo –, cosa che dal decreto Salva Italia di Monti non riusciamo più a fare. Merano forse è una realtà anomala, se guardiamo ad alcune catene familiari sorte negli anni e che hanno avuto la capacità di diversificare l’offerta. Ma col venir meno dell’esclusività soffrono pure loro. E così le grandi catene alimentari: la scelta di anticipare gli sconti alla settimana precedente al Black Friday non ha permesso di centrare l’obiettivo, perché l’offerta è tanta».

Lavoratori divisi.

Ma i lavoratori si organizzano? Si rivolgono al sindacato? La risposta è scoraggiante: «Spesso notiamo come le nuove generazioni, molto ricercate dalle aziende, non rimangano nello stesso negozio: guadagni scarsi a fronte dell’impegno richiesto, difficoltà ad avere un riconoscimento del lavoro svolto. Nella fascia media, quella intorno ai 30 anni d’età, la frequenza delle dimissioni è elevatissima. Si crea così un grande ricambio, i lavoratori sono divisi, soli. E tanti nemmeno conoscono i propri diritti e doveri. Per questo, come in un negozio di recente apertura a Merano, facciamo informazione sugli aspetti sindacali già in fase di contrattazione. Così il singolo sa a chi rivolgersi e ha una visione più globale dei rapporti di lavoro». Non una linea politica, ma riferimenti chiari per muoversi da lavoratori e da cittadini. Le basi di una coscienza civica.

Così anche gli incontri nelle scuole professionali, sebbene non tutte vogliano concedere ai loro alunni questa possibilità: «Un esempio virtuoso – conclude Costanzo – è l’Einaudi, a Bolzano. Ci sono anche la Ritz, il Gandhi e la scuola professionale di Merano. E i ragazzi sono interessati! E magari, quando cominceranno a lavorare, si ricorderanno una faccia amica, un elemento del diritto importante per affrontare problemi che quando si è soli sembrano inaffrontabili».













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