Commesse sfruttate dalle grandi catene 

Paga di 900-1000 euro e turni (solo) con 48 ore di anticipo. Confesercenti: «I marchi locali pagano anche il doppio»


di Jimmy Milanese


MERANO. «Lavoro anche dodici ore di fila, e quasi sempre nei festivi arrivando a fare anche 50 ore a settimana, spesso gli straordinari non sono pagati e non posso lamentarmi perché il mio contratto si rinnova ogni sei mesi. Hanno diritto di spostarmi quando e quanto vogliono in un altro punto vendita e la mia busta paga non supera mai i 1000 euro». A raccontarlo è una ragazza di origini campane, arrivata da poche settimane a Merano e dipendente presso un punto vendita della grande distribuzione.

Come lei, sono tanti i giovani costretti ad emigrare dal meridione d'Italia o da altri paesi, impiegati nei negozi di vestiti della grande distribuzione che da qualche anno sono sbarcati anche in città.

Paghe basse e condizioni di lavoro spesso vessatorie in totale controtendenza rispetto a quanto accade nel commercio tradizionale, ancora predominante a Merano, composto da negozi in franchising o quella piccola distribuzione dove il rapporto con il datore di lavoro è quotidiano.

«È il fenomeno del commercio d'assalto, ovvero il sistema di vendita libero organizzato dalla grande distribuzione, nel quale il personale è sostituibile dalla sera alla mattina», spiega Federico Tibaldo di Confesercenti. In sostanza, aggiunge Christina Waldner, sempre di Confesercenti «nel settore della distribuzione tradizionale, noi puntiamo molto alla formazione del personale di vendita che deve conoscere le lingue, essere capace di accogliere il cliente, comunicare efficacemente e puntare alla sua fidelizzazione». Al contrario, nella grande distribuzione, il contatto tra dipendente e cliente è ridotto ai minimi termini, spesso limitato alla richiesta di una taglia non presente negli espositori o in occasione del pagamento della merce scelta, con dipendenti che quasi mai padroneggiano una seconda lingua.

«Merano è una piazza buona – spiega Tibaldo – e con i suoi oltre 300 punti vendita nel settore merceologico di abbigliamento, calzature, pelletteria e accessori resiste, seppur con fatica, al dilagare della grande distribuzione che vediamo in altre realtà».

Insomma, dipendenti di serie A, quelli dei piccoli negozi, e di serie B, quelli della grande distribuzione. Una differenza che si legge anche nelle condizioni contrattuali applicate alle due categorie.

«Nel settore della grande distribuzione, dove i grandi marchi hanno fondato una loro rappresentanza di categoria, uscendo nel 2011 da Confcommercio e riunendosi in Federdistribuzione – spiega Tibaldo - si applica ancora un contratto di lavoro scaduto da ormai cinque anni che, dal canto suo, Confcommercio ha già rinnovato». Il risultato pratico è che le aziende della grande distribuzione, presenti sul nostro territorio, possono avvantaggiarsi nella concorrenza con la piccola distribuzione, applicando contratti che prevedono retribuzioni più basse e minore contribuzione previdenziale.

Anche nella piccola città di Merano le conseguenze sono evidenti.

Si va da stipendi che in media portano nelle tasche dei dipendenti dei piccoli negozi qualcosa come 1300/1500 euro mensili per 14 mensilità, ai miseri 800/1000 euro per un dipendente della grande distribuzione.

«Nei negozi della distribuzione tradizionale – precisa Tibaldo – il nostro dipendente è coccolato, può contrattare con il datore di lavoro sia sull'orario lavorativo sia sullo stipendio che tende ad aumentare in relazione alle capacità dimostrate, arrivando anche a sfiorare i 2000 euro mensili». Ciò che non accade nella grande distribuzione. A spiegarlo è una banconista arrivata a Merano dopo avere girato sei diversi punti vendita in due mesi: «Sono stata assunta come ausiliaria alla vendita, ma mi sono ritrovata a dovere imparare tutto, dallo scarico merce, alla esposizione, ma anche contare i soldi, e chiudere il negozio, senza contare il numero di ore che non vengono considerate come straordinarie. Questo – conclude la ragazza - per 900 euro al mese». Una situazione che impone a molti di questi ragazzi della grande distribuzione la condivisione della abitazione, proprio al fine di limitare le spese.

«Sono arrivata a Merano perché me lo ha imposto il responsabile del punto vendita dove lavoravo prima – aggiunge la ragazza - perché così c'è scritto sul mio contratto che scade tra poche settimane».

Oltre al contratto a tempo determinato e mai indeterminato, rinnovato ogni sei mesi, spesso privo di maggiorazioni per lavoro durante i festivi e con obbligo di trasferibilità, le tipologie di contratto nella grande distribuzione sono essenzialmente due: l'apprendista praticante, comune anche nei piccoli negozi, e il lavoro a chiamata, quasi esclusiva della grande distribuzione.

Il lavoro a chiamata, tipico strumento contrattuale utilizzato nella grande distribuzione, assieme a forme di part time, prevede 300 ore lavorative distribuite in tre anni, con la possibilità della azienda di stabilire con un anticipo di sole 48 ore i turni di lavoro. «Anche nella ricca Merano diversi miei colleghi sono schiavi di questi contratti – precisa una dipendente della grande distribuzione - dove praticamente diventi di proprietà del tuo caporeparto che può spostarti tra i diversi punti vendita a suo piacimento e se ti lamenti, sei di chiusura ogni sera». Queste condizioni di lavoro producono un elevatissimo tasso di ricambio del personale all'interno dei punti vendita della grande distribuzione, spiega Tibaldo:«che non vediamo nei negozi a noi associati, dove i dipendenti rimangono anche per anni nello stesso punto vendita o cambiano lavoro se esiste una prospettiva remunerativa migliore».

Insomma, una diversità di trattamento, quella tra i dipendenti della grande distribuzione, rispetto a quelli del piccolo commercio, nota nel resto d'Italia ma che sembra interessare sempre più anche la nostra piccola realtà cittadina.

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