Frane sulla ditta di riciclaggio «Chiedo giustizia da sette anni» 

Il caso a Sinigo. Il 23 febbraio 2014 ottomila metri cubi di roccia precipitarono sul capannone di Edoardo Picelli Da allora si trascina un contenzioso con la Provincia. Nel 2015 quel tratto di via Nazionale fu classificato come zona rossa


Jimmy Milanese


Merano. «Sono sette anni che chiedo giustizia!». Sette anni da quel 23 febbraio del 2014, quando per Edoardo Picelli iniziò un vero e proprio calvario. «Lo ricordo come fosse ieri, prima il 5 febbraio, poi l’8 e infine la terza frana del 23 febbraio che catapultò una quantità incredibile di massi sopra la mia azienda», ricorda Picelli.

In quei tre momenti distinti ma tra loro collegati di quel maledetto febbraio del 2014 si è consumata la fine della ditta “Recycling fratelli Picelli”, specializzata in lavorazione e commercio di metalli ferrosi, recupero e asporto rottami e rifiuti generici non pericolosi. A distanza di sette anni dall’ultima e fatale frana che ha letteralmente invaso il capannone costruito da Picelli nel 2009, i massi di quella tragedia sfiorata sono ancora lì, con la montagna che corre lungo via Nazionale ancora minacciosa e una serie di edifici attigui alla ditta di smaltimento rifiuti sigillati proprio per via del rischio frane che in queste settimane si è fatto sentire un po’ in tutta la provincia.

L’acquisto del terreno.

«Ho acquistato quel terreno dalla Provincia per un importo di circa 250 mila euro, poi ne ho investiti altri 900 mila per la realizzazione di un capannone, anche se fin dall’inizio non ho avuto altro che ostacoli dall’Ufficio Gestione rifiuti della Provincia, come quella volta che per l’autorizzazione all’apertura dovetti aspettare tre mesi per un controllo, visto che un loro funzionario si era messo in malattia», ricorda Picelli, che continua: «Quando acquistai il terreno dalla Provincia, la nostra città non aveva ancora un piano per le zone a rischio ma venni rassicurato del fatto che quella montagna era in sicurezza», sottolinea l’imprenditore meranese.

Il contenzioso.

Quindi, quel fatale 23 febbraio del 2014, quando una frana di circa 8 mila metri cubi di materiale roccioso mise sulla strada Picelli e suoi cinque dipendenti, costringendo anche una serie di attività attigue a chiudere le serrande. «Da quel 2014 non abbiamo più lavorato e per lo shock faccio fatica ad avvicinarmi a quel luogo ma, detto questo, quasi subito è iniziato un contenzioso con la Provincia che tramite i suoi uffici ci promise di venirci incontro, vendendoci un altro terreno che però non sarebbe stato adatto per la mia attività», ricorda Picelli. Una proposta rifiutata e dalla quale è partito un interminabile confronto giudiziario tra Picelli e la Provincia, chiamata dall’imprenditore a rispondere per avere venduto all’imprenditore meranese un terreno solo successivamente dichiarato zona rossa, quindi non edificabile.

L’allarme.

Nel frattempo, assieme al capannone danneggiato dalla frana, quell’areale che nel passato aveva svolto la funzione di discarica dell’ex Montecatini è stato venduto all’asta per un importo complessivo di poco meno di 300 mila euro. «Per costruire il capannone infatti accesi un mutuo che con la sospensione forzata dell’attività non sono più riuscito a pagare, quindi tutto quello che avevo è andato all’asta e anche lì la Provincia non ha fatto nulla per sostenermi, nonostante fosse stata lei a vendermi quel terreno», spiega Picelli, che però pone l’accento anche su un altro problema. «A prescindere da questa vicenda, come tutti sanno quel tratto di via Nazionale dal 2015 è stato decretato zona rossa ma, esattamente come a me la montagna è crollata addosso, lo stesso potrebbe succedere ancora e nonostante siano passati sette anni e ora sia nota la pericolosità della montagna, la situazione è rimasta immutata».

Un allarme condiviso da diversi funzionari dell’amministrazione comunale i quali, Piano delle zone di rischio alla mano, nel passato hanno più volte invitato la Giunta cittadina ad attivarsi in particolare per quanto riguarda il costone minaccioso che pende sopra la falegnameria Satblum di via Nazionale.













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