Merano

Giovani violenti, ormai è emergenza: «Impossibile recuperarli tutti» 

Sul fenomeno delle baby gang parla Cristina De Paoli, referente dell’associazione “La Strada”: «Alcuni dei ragazzi protagonisti delle scorribande, li conosciamo e in parte sono già seguiti, nei casi estremi ci sono le strutture. La repressione fa il suo effetto ma non è l’unica via, semmai l’ultima»


Jimmy Milanese


MERANO. «Di fronte a fenomeni di violenza giovanile, chiediamoci che tipo di società noi adulti stiamo consegnando ai nostri ragazzi, prima di pensare ad azioni meramente repressive». Sul fenomeno delle baby gang interviene Cristina De Paoli, referente dell’associazione “La Strada” che a Merano gestisce il Centro Giovani Tilt e il Centro Diurno Lanz.

Il fenomeno pare avere i connotati di emergenza sociale.

Distinguiamo fra chi ha tra i 14 e i 18 anni e gli under 14. La differenza non è di poco conto, visto che i minori sotto i 14 non sono penalmente punibili. Mi sembra il tema dei ragazzi di Merano. Bisogna essere chiari, sotto i 14 anni le forze dell’ordine non possono fare nulla, ci vuole altro tipo di intervento.

 

Stiamo parlando di una impunibilità assoluta?

Il minore di 14 anni non va in carcere, se commette questo tipo di reati, ma per lui sono previste altre azioni anche estreme, come la messa alla prova. Il nostro ordinamento trova altre vie e quando la situazione familiare è particolarmente grave, allora ci sono gli istituti. Ma siamo alle misure estreme prima delle quali è bene agire.

Il contesto familiare ritorna sempre in queste vicende, soprattutto per gli immigrati di seconda generazione. Qual è la situazione?

Spesso le famiglie in difficoltà sono famiglie di altre culture. In generale, i ragazzi che subiscono le violenze all’interno del loro nucleo familiare, di solito le trasmettono fuori. La linea in Alto Adige è quella di aiutare il minore all’interno della sua famiglia. Per questo è importate il lavoro con i genitori, dove è possibile raggiungerli.

Come associazione La Strada, in che modo operate?

Interveniamo a scuola con programmi di prevenzione, così come nelle classi per le tematiche relative ai fenomeni di bullismo. Poi ci sono interventi in famiglia e lavoriamo nei centri giovani diurni. Alcuni di questi ragazzi protagonisti delle scorribande li conosciamo e in parte sono già seguiti. Detto questo, per i casi estremi ci sono le comunità dove i ragazzi più problematici vengono ospitati. Ma è veramente l’ultimo passo educativo, quando si rileva un grave disagio.

Intende dire che serve più prevenzione della sola repressione?

La repressione fa il suo effetto ma non è l’unica via, semmai l’ultima. Poi, ovviamente, bisogna capire che è impossibile recuperare tutti, qualcuno lo perdiamo per strada. Non avremo mai una società con ragazzi che non sviluppano problematiche antisociali. Una piccola fetta della popolazione per forza esprimerà una richiesta di attenzione da parte degli adulti. I ragazzi fanno tante cose per semplice noia, non sanno come passare il tempo e magari gli eventi più devianti iniziano proprio per scherzo.

Con il Covid tutto più difficile?

Le limitazioni producono la perdita dei ragazzi che quindi si trasferiscono nei centri commerciali. Ormai, solo due ragazzi su dieci pratica sport. Non c'è sorveglianza, i genitori non guardano cosa fanno i loro figli, se arrivano a casa con le scarpe firmate non si chiedono cosa stia accadendo.

Il territorio meranese e in genere altoatesino offre abbastanza come supporto per i ragazzi?

Il territorio offre tanto, magari manca un po’ la coordinazione tra le diverse proposte. Mi lasci sottolineare che se la scuola è concentrata sulla prestazione e i genitori pure, chi chiede ai ragazzi come stanno?

Cosa racconta chi si rivolge ai vostri centri?

I ragazzi ci dicono che appena arrivano a casa i genitori in genere chiedono il voto dell’ultima verifica, non come stanno. Se hai preso un sei e non un otto, non deve essere un problema per la famiglia. Viviamo in una società fondata sul mito delle prestazioni.

Spesso gli esclusi sono gli immigrati di seconda generazione: esiste uno scontro, nella testa dei ragazzi, di culture diverse?

Esiste anche questa dimensione. La loro cultura si mescola con la nostra in un mix che talvolta diventa esplosivo: regole nostre vs. regole delle loro famiglie. Interiormente si crea una confusione, i valori della famiglia contro quelli della società italiana. In un’età dove sei alla ricerca della tua identità, la quadra i ragazzi la trovano nella dimensione del gruppo che trascina, prima o poi creando la figura del leader. Il leader è il bullo che trascina, gli altri sono gregari. È la dinamica di Arancia Meccanica.

Dove si deve intervenire, sul bullo o sui gregari del gruppo?

Bisogna lavorare sul capetto e su chi lo assiste. Se nessuno lo assiste, la cosa si sgonfia. Il capo si fa forza su chi gli copre le spalle. Un fenomeno che osserviamo da sempre.

Come si identifica il capetto, per sgonfiare la dinamica di gruppo?

Andando sul territorio che frequenta, magari a scuola o dove si ritrova con il gruppo il pomeriggio, in questo caso i centri commerciali magari facendoli presidiare dagli street worker. Per dare loro altri punti di riferimento. Sostituire la violenza con la normalità.













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