Ieri come oggi, l’eterna lotta  per la fabbrica di Sinigo 

Corsi e ricorsi storici. Nel luglio 1972 la Montedison annunciò  la chiusura dello stabilimento provocando la reazione dei lavoratori: anche allora la decisione venne considerata soprattutto “politica” In pieno centro città la mitica tenda simbolo della protesta 


Jimmy Milanese


Merano. Le vicende che negli ultimi anni hanno investito la Solland di Sinigo, fino alla cronaca recente che vede i lavoratori in sciopero contro la chiusura di una fabbrica che tra pochi anni compierebbe i 100 anni di storia (ricordando comunque che la vicina Global Wafers-Memc, all’interno dello stesso polo industriale, è pienamente operativa), riporta a un non lontano passato. Un passato che per certi versi ricorda molto il presente e il dramma tanto di allora quanto di oggi: tante famiglie che non vogliono mettere la parola fine a un’avventura ormai lunga quasi un secolo.

Quel luglio lunghissimo.

Era il primo di un lunghissimo luglio del 1972, e tanto la storia quanto la memoria dei reduci di quella stagione raccontano della inaspettata apertura di una vertenza sindacale che si sarebbe consumata in occupazioni, scioperi, manifestazioni in piazza e incontri con i vertici della azienda ma anche con i rappresentanti del ministero. Insomma, una intera città mobilitata perché dalla direzione generale dell'allora Montedison, l’assessore provinciale Franz Spögler aveva ricevuto una telefonata categorica: «Dal 15 luglio 1972 lo stabilimento di Sinigo cesserà la produzione e manderà in mobilità i suoi oltre 200 lavoratori». La notizia arrivò immediatamente in fabbrica e alle 19.30 dello stesso giorno gli operai decisero per l'occupazione. Era l'inizio di una lotta sindacale che sarebbe terminata solo il 15 maggio dell'anno seguente, ma non senza dolori. Anche allora, come accaduto nei giorni scorsi, venne convocato un consiglio comunale straordinario per valutare il da farsi, mentre a decine arrivavano le manifestazioni di sostegno ai lavoratori dal mondo della politica locale e nazionale. La fabbrica quindi venne bloccata, si garantì solo la sicurezza (ieri come oggi) e, in caso di revoca del provvedimento, assicurata la ripartenza immediata degli impianti.

La vertenza.

Eugenio Cefis, presidente Montedison, uno degli imprenditori più discussi dell'industria italiana, già membro della P2 e considerato uno dei massimi esponenti della borghesia di Stato dell'epoca, aveva le idee chiare: «Tagliare i rami secchi dell’azienda milanese con ramificazioni in tutt'Italia». I lavoratori non cedono, rifiutano la cassa integrazione che non viene concessa in caso di occupazione, ma assieme alle prime lettere di licenziamento arrivano anche le prime promesse di sussidi della Provincia, in attesa di quelli della cassa Integrazione e Guadagni. Nel frattempo, i sindacati divulgano studi autorevoli che spiegano le potenzialità dell'impianto di Sinigo, anche allora considerato capace di produrre silicio ad altissimo grado di purezza e, soprattutto, in grado di neutralizzare i rischi ambientali provenienti dal trattamento delle sostanze effluenti. Ai lavoratori, allora come adesso, la decisione di chiudere la fabbrica sembra più politica che dettata da esigenze di mercato. Nonostante la forte concorrenza internazionale, sono i lavoratori stessi ad indicare alla dirigenza quali possano essere gli interventi per modernizzare gli impianti di Sinigo. In consiglio regionale, intanto, volano scintille, con accuse alla Democrazia Cristiana di allora di essere debole con la proprietà e forte con i dipendenti Montedison.

I cortei.

Il 13 luglio operai, famiglie e studenti sfilano in corteo nel centro della città con cartelli bilingui. Applauditi dai cittadini, i manifestanti sono ricevuti in udienza dal consiglio comunale direttamente dal vicesindaco Pobitzer che annuncia lo stanziamento di un contributo economico per i lavoratori. Invece, sulla Svp piovono critiche, l'accusa è di essere disinteressata al caso. Anche allora, l'attacco arriva dalle opposizioni italiane in consiglio. La seduta è seguita da decine di lavoratori assiepati sul loggione, ma molti di questi rimasti davanti all'entrata del municipio dove erano stati messi degli altoparlanti. Nel frattempo arriva il fatidico 15 luglio con gli impianti ancora presidiati e il sindaco Balzarini il quale annuncia che se gli verrà richiesto, provvederà alla requisizione coatta della fabbrica. I sindacati promettono uno sciopero di massa per il 20 dello stesso mese e nel frattempo piazzano la mitica tenda di fronte all’Azienda di soggiorno. Una tenda che dà fastidio, ma che nessuno ha il coraggio di rimuovere. E lo sciopero arriva, puntuale, la mattina del 20 luglio un corteo di centinaia di lavoratori che sfila per il centro dietro a uno striscione rosso e una 600 guidata da Vittorio Cavini, giornalista Rai. I dipendenti Montedison chiedono alla Provincia di entrare nel capitale dell’azienda con un finanziamento alla modernizzazione degli impianti. La Provincia tentenna, ma sono troppe le forze allora contrarie a questo tipo di intervento nell'economia. Nella notte, una bomba molotov viene lanciata contro la tenda dei lavoratori, bruciano i cartelli, nessun ferito, ma lo stesso accade la sera seguente, questa volta a essere presi di mira sono i cancelli della fabbrica.

Arriva agosto, i lavoratori sono da un mese senza salario e l'intervento economico annunciato dal Comune non è ancora arrivato. Ma le pressioni sulla politica non cessano e, alla fine, grazie all’intermediazione di alcuni senatori, una delegazione di operai viene ricevuta da Mauro Ferri, all'epoca ministro dell'industria, ma che poco dopo sarebbe stato coinvolto nello scandalo dei petroli che mise alla sbarra decine tra uomini politici e imprenditori per illeciti finanziamenti all'Enel. Ma dal ministro non si va senza cravatta, che gli operai di Sinigo non avevano alcuna intenzione di indossare e per questo motivo vengono respinti. Alla fine, dopo un giro di telefonate fra i questori della Camera, i rappresentanti sindacali accompagnati da una delegazione della Provincia ottiene l'incontro con il ministro il quale promette generiche azioni, tra le quali, pressioni sulla Montedison affinché ritorni sulle sue decisioni. Ma la Montedison non estraeva petrolio, produceva silicio, anche allora, tra i migliori al mondo.













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