L’ex attrice relegata in una casa di riposo 

L’amica meranese: «Ha scritto al giudice chiedendo di uscire»


di Jimmy Milanese


MERANO. Una casa elegantissima nel centro di Merano, mobili e arredi di estremo pregio, e una vista mozzafiato sulle Dolomiti. A raccontare questa vicenda che vede protagoniste due amiche divise per motivi apparentemente inspiegabili è ancora una volta la trasmissione “Chi l’ha visto”. In quella casa, per anni ha vissuto una donna bellissima, conosciuta per la sua eleganza e i suoi occhi verdi, fino a un giorno, quando nessuno ha più avuto notizie di Erika Iorger Razogin. «Con uno stratagemma assurdo l’hanno sottratta da casa sua, con la scusa di spostarla in una residenza per anziani per tre giorni, mentre la domestica doveva andare a fare un trasloco». A raccontarlo con voce spezzata dalla sofferenza è Anita Zani Rocca, amica e quasi sorella di Erika. Un’amicizia solidificata dalla condivisione dei modi nobili di due donne garbate. «Si poneva sempre in modo gentile, era meravigliosa: non si può distruggere una vita senza un motivo», spiega Anita.

Ma chi era Erika? La bellezza di Erika non era passata inosservata, quando nel 1965 venne selezionata per rappresentare l’Italia a Miss Universo. Poco dopo, nel corso di un viaggio Erika si innamora di un ministro dello Scià di Persia. Come testimonie di nozze arriva Frank Sinatra, ma nella sua vita ci sono incontri con Ronald Reagan e la famiglia principesca Fürstenberg, tutti documentati dalle fotografie che l’amica Anita mostra alle telecamere di “Chi l’ha visto”. Insomma, una vita trascorsa sul jet set del cinema, tra New York, Ginevra, fino a ritornare nella sua amata Merano, nella quale va a vivere assieme al marito che le compra una bellissima casa.

«Il marito per lei stravedeva e faceva di tutto, riempiendola di gioielli e viziandola», spiega Anita che ricorda il decadimento fisico della amica, nel momento in cui il consorte è venuto a mancare. In una situazione di grande debolezza, il Tribunale di Bolzano le affianca un amministratore di sostegno. Ma la vita di Erika riprende, grazie alla frequentazione con un barone tedesco col quale trascorre molto tempo in uno chalet francese.

«Andavo e venivo da Merano per farle compagnia – spiega Anita – andavamo a Merano 2000 e in pasticceria a mangiare i Marron Glacés».

Sono le amiche, a questo punto, a prendersi cura di Erika, affidandole una badante, Renè e raccomandandole di assicurarsi che prendesse le medicine, da trent’anni complici del suo stare bene.

Un giorno, come detto, Renè si deve assentare per un trasloco, e l’amministratore propone a Erika di trasferirsi per qualche giorno in una struttura per anziani, in attesa del ritorno della sua badante con la quale l’Ospedale di Merano concorda il rientro della signora nella sua casa.

Una residenza, invece, dalla quale non avrebbe fatto più ritorno che le amiche e la badante apprendono proprio dalle parole dell’amministratore di sostegno il quale nel frattempo licenzia la badante e spiega che Erika non avrebbe più fatto ritorno a casa. A quel punto, la donna inizia a scrivere ad lettere disperate all’amica Anita e all’avvocato Carlo Fontana, spiegando che era sua intenzione ritornare immediatamente a casa.

Parole disperate di una donna che alla fine decide perfino di scrivere al giudice che aveva ordinato questa misura coercitiva.

«Caro giudice, con il pretesto di un controllo in ospedale mi tengono rinchiusa senza la possibilità di avere alcun rapporto esterno. Sono reclusa in una cameretta che devo dividere con una persona molto anziana in fin di vita. Voglio tornare nel mio appartamento e non voglio che Renè venga licenziata».

E poi il desiderio di tornare a decidere da sola ciò che è meglio o peggio per la sua vita.

«Desidero precisare che non sono mai stata interdetta e per fortuna sono in grado decidere della mia vita. La prego mi aiuti!», scrive Erika.

Detenuta contro la sua volontà, Erika scrive anche al suo dottore, lamentando che la struttura le impedisce di recarsi da un dentista per la sostituzione di un dente, per via del fatto che sul suo conto corrente non ci sarebbero più denari.

A questo punto, interviene l’avvocato di Erika con un esposto in Procura nel quale accusa l’amministratore di sostegno di non essere stato in grado di fare un adeguato inventario dei beni.

Erika rimane in casa di riposo, fino a quando Anita, con il pretesto di portarla dal dottore, la prende e porta all’Ospedale di Bolzano.

«Ho detto, adesso o mai più, siamo andati a colazione e l’ho portata all’ospedale», spiega Anita, per questo gesto denunciata per sequestro di persona, anche se successivamente le accuse sono cadute.

In ospedale Erika viene curata e la terapia che prima le era stata somministrata nella casa di riposo viene sostituita con una più adeguata che la fa sentire subito meglio.

Un anno e mezzo dopo il ricovero forzato per il volere di un amministratore di sostegno, e dopo una degenza in ospedale di un mese, Erika scrive le sue memorie, arrabbiata per quello che definisce un sequestro di persona che la ha privata persino del suo cellulare.

Ma il suo destino, in realtà, è ancora essere forzata in una casa di riposo, contro la sua volontà. Sollecitati dalla amica Anita, la trasmissione «Chi l’ha visto» cerca di contattare l’amministratore, il quale risponde che tutto è stato fatto come si deve, perché ci sono delle sentenze.

A quel punto, Anita viene colpita da una istanza del giudice tutelare che la descrive come manipolatrice e dannosa per la vita di Erika, impedendole qualsiasi contatto con l’amica di una vita.

Da quell’atto del tribunale sono ormai passati cinque anni, nel corso dei quali Anita non ha avuto più notizie di Erika, oggi rinchiusa in una struttura che impedisce a due amiche di riabbracciarsi, come avevano fatto per quarant’anni della loro vita.

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