«Le case di riposo non possono diventare i nuovi lazzaretti» 

La Pitsch dopo il dramma coronavirus. Mentre le strutture pian piano tornano a ospitare i parenti in visita agli ospiti, la vicepresidente Gabriella Job traccia le prospettive: «Servono reparti infettivi fuori dalle mura di ospedali e residenze»


Sara Martinello


Merano. «Servono strutture per la gestione delle malattie infettive, non si può demandare tutto alle case di riposo. E che dispiacere leggere quella voce, “decessi in casa di riposo”, negli elenchi delle morti per Covid-19». Gabriella Job, vicepresidente della Fondazione Pitsch, reclama per la terza età tutta l’attenzione che per troppi anni è venuta meno. Il collasso delle residenze, l’affanno del personale, la solitudine in cui ormai da più di quattro mesi versano gli ospiti. «Nella nostra società la geriatria sembra avere lo stesso destino delle persone cui si dedica, eppure anziani lo diventeremo tutti, anche se spesso si preferisce non pensarci».

Sono stati soprattutto gli anziani a subire le conseguenze della pandemia. «Ora desiderano anche loro riprendersi la loro vita, tornare al tran tran quotidiano. Ma la permanenza del virus tra noi angoscia più di quanto si pensi». Job fa riferimento in particolar modo agli ospiti delle case di riposo e delle strutture per lungodegenti. Per la Pitsch, l’edificio di via Palade, sferzato con ferocia dal coronavirus, e il Sant’Antonio, rimasto miracolosamente intatto. Ora agli edifici gestiti dalla Fondazione si può accedere, su appuntamento, ma ancora ci si dibatte tra le norme anticontagio e la necessità di restituire una normalità agli anziani ospiti. Cercando faticosamente un equilibrio.

Come la pandemia è scoppiata, il centro per lungodegenti Sant’Antonio è stato blindato, e nella casa di riposo di via Palade si è organizzato il terzo piano come reparto Covid. Come in molte altre residenze, d’altronde. Ma per Merano quelle gestite dalla Pitsch sono tra le più importanti strutture per la cura e per l’assistenza degli anziani, e altrettanto vigoroso è stato lo sforzo profuso dal personale e richiesto a familiari sempre più preoccupati. Job traccia una prospettiva di una fase 3 che per la terza età sembra ancora troppo lontana: «Dopo questa bufera andranno riviste molte cose. Un punto fermo, i reparti infettivi. Dovrebbero essere mantenuti e posti al di fuori delle mura ospedaliere o delle residenze per anziani. Le case di riposo devono continuare a essere tali, non posti dove confinare i malati. Non tutte hanno gli spazi e gli strumenti necessari. E non si deve indurre chi ci entri a pensare che siano posti pericolosi per i suoi cari, bisogna tornare a considerare le strutture per l’assistenza delle persone anziane come luoghi ospitali. La segregazione deve finire».













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