Nel 2018 nel Burgraviato un turista ogni 5 abitanti 

Le statistiche. Nel comprensorio presenze aumentate di quasi 1,5 milioni in meno di trent’anni Ma Merano persegue una politica “slow”. Strohmer: «Necessario un piano della mobilità globale»


Sara Martinello


Merano. La tendenza a vestire la tradizione dei desideri del mercato, un’offerta trainata dalla domanda e una domanda allettata da offerte sempre più spinte, fino a sfociare nel dibattito che da Venezia a Plan de Corones infiamma i rapporti tra operatori turistici e sostenitori di politiche rispettose dell’ambiente e delle persone. Il fenomeno dell’overtourism ha acceso anche gli animi dei meranesi, l’anno scorso, quando camminando per la città poteva capitare di notare le spillette con la scritta “Basta turismo”. Eppure, dati alla mano, Merano non sembra potersi inserire nel circuito delle località dove la brama di guadagni ha preso il sopravvento sul benessere degli abitanti. Lo conferma l’assessora al turismo Gabriela Strohmer, che anzi traccia il quadro di una crescita slow che vuole andare nella direzione della sostenibilità. Aiutata dal marchio turistico introdotto quest’anno.

I dati dell’Astat.

A parlare sono i dati contenuti nel dossier “Serie storica sul turismo. 1950-2018” redatto da Irene Mahlknecht per l’Astat. Nel Burgraviato, nel 1990 gli esercizi ricettivi erano 2852. Cifra che nel 2018 è scesa a quota 1973, con un calo complessivo di 6 mila letti (passati dei 49.743 di 29 anni fa ai 43.761 censiti allo scorso 31 dicembre). Per la città di Merano si parlava di 244 strutture nel 1995, l’orizzonte temporale più lontano offerto dalle banche dati online dell’Astat, e di 224 esercizi ricettivi nel 2018, per 7064 letti allora e 6265 oggi. Ma il trend è inverso per arrivi e presenze, che nel Burgraviato dai 777.148 e 5.790.154 del 1990 hanno subito un’impennata raggiungendo le quote di 1.519.114 (gli arrivi) e 7.228.816 (le presenze). Se si guarda nello specifico agli arrivi, si registra un aumento di circa 100 mila unità ogni cinque anni dal 1960, con una deflessione di 40-50 mila dal 1996 al 2000 e poi una nuova ripresa. Meno marcata la differenza tra 1995 e 2018 a Merano, dove se 24 anni fa si calcolavano 180.603 arrivi e 1.032.158 presenze, l’anno scorso gli arrivi sono stati 328.265 e le presenze 1.118.996, ma sempre con alte concentrazioni nei mesi estivi.

Turismo e cittadinanza.

La ricetta di Strohmer vuole mettere a sistema le esigenze dei turisti e quelle di svago dei residenti. «L’offerta turistica deve valere anche per la cittadinanza – spiega –, per esempio i concerti, i Martedìlunghi, tutte iniziative cui i meranesi si sono affezionati». Ma va considerato anche l’aspetto della mobilità, soprattutto in relazione ai cambiamenti che il nuovo Put apporterà alla viabilità cittadina. «A Merano il turista, ospite delle strutture sul territorio comunale, dà poco fastidio. Si muove a piedi, in autobus, lascia l’auto in albergo. Pesa di più l’afflusso del traffico dal circondariato, e in questo il Put è un primo passo. Andrà fatto quantomeno un discorso a livello di comunità comprensoriale, tenendo fermo l’obiettivo che l’ospite possa arrivare in Alto Adige coi mezzi pubblici. Iniziative a macchia di leopardo sono limitative, nessuno è allettato dalla prospettiva di cambiare cinque mezzi per arrivare a destinazione. E bisognerà andare anche oltre il Masterplan, che disegna uno sviluppo strategico a grandi linee». L’idea di Strohmer combacia col concetto del marchio turistico presentato lo scorso febbraio: un turismo che si conceda il nuovo lusso del prendersi tempo. «In tedesco lo chiamiamo “lasciar dondolare l’anima”, “die Seele baumeln lassen”. Con l’apertura di nuovi mercati internazionali e con una situazione politica instabile, la prima causa di rinuncia alle ferie, Merano deve distinguersi, andare un po’ controcorrente. Restare fedele a se stessa e offrire qualità e specificità. Si può fare polemica su tutto, se si vuole, ma i dati parlano chiaro». Dichiarazioni che farebbero quasi pensare a uno slittamento dell’assessora Svp verso l’area dei Verdi. «Non serve essere verdi per essere ecologisti – sorride Strohmer –. Ormai non possiamo più rimanere indifferenti di fronte al tema ambientale. E se ci crediamo dobbiamo agire di conseguenza».













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