«Sì, siamo traditori. Ma come diceva Langer»

Merano. «Uno degli elementi caratterizzanti l’ultima campagna elettorale a Merano è stata la chiamata alle armi della comunità cittadina di lingua italiana per l’elezione di un sindaco italiano....



Merano. «Uno degli elementi caratterizzanti l’ultima campagna elettorale a Merano è stata la chiamata alle armi della comunità cittadina di lingua italiana per l’elezione di un sindaco italiano. Proposto della due Civiche, ha trovato al ballottaggio l’appoggio convinto della destra italiana e quello strumentale dell’Svp. Da ciò che si legge sulle pagine della stampa locale il tema torna. E torna l’accusa, a chi non ha condiviso il progetto, cioè a tutte le persone che non hanno accettato di fare su base etnica le loro scelte, di averlo tradito». Così si apre una nota dei Verdi/lista Rösch, spinti dai vari appelli del centrodestra meranese e provinciale a riunire un “partito degli italiani”.

La lista prosegue con un richiamo agli anni Settanta e Ottanta. «Antico, forse, ma purtroppo siamo ancora lì», soggiungono. «“Traditori” è termine pesante, è condanna che stigmatizza. Non nell’accezione che gli diede Alexander Langer e che la lista Rösch/Verdi fa propria e pratica. “Perché si crei in Sudtirolo una società nuova – scrisse Langer a più riprese – dobbiamo persino avere il coraggio di accettare di essere chiamati “traditori”. Chi usa tale appellativo probabilmente non si è mai sforzato di raggiungere una vera convivenza”. Occorrono dunque “traditori della compattezza etnica”, ma non “transfughi”, per continuare nella citazione. Persone, gruppi, istituzioni cioè che si collochino consapevolmente ai confini tra le comunità e coltivino in tutti i modi la conoscenza, il dialogo, la cooperazione».

«Finora, a Merano come a livello provinciale – proseguono i Verdi –, troppo spesso si è assistito a una cooptazione della comunità italiana al tavolo delle decisioni con un duplice profilo: quello di occuparsi quasi esclusivamente di “cose italiane” da una parte e quello di accontentarsi delle briciole di un pasto più sostanzioso dall’altra. Entrambi hanno portato necessariamente alla conferma del “nebeneinander” piuttosto che all’affermazione del “miteinander”. Accanto, ma non insieme. Da qui la prevedibile rivendicazione di un contrapposto orgoglio identitario: interno alla comunità, subalterno rispetto all’altro gruppo. E da qui spesso ancora lamentazioni e mugugni. La subalternità ancora una volta è prevalsa a ottobre nel non aver voluto lasciare l’abbraccio di chi (Svp) ha un’idea molto chiara sull’identità e sugli equilibri intoccabili di questa terra».

La conclusione è una netta scelta di campo. «Il movimento Verde Sudtirolese da sempre sa cosa significhi dialogare, cooperare. Cosa voglia dire costruire insieme il futuro rispettando e valorizzando le diversità. Siamo stati e continuiamo a essere “traditori” ma non “transfughi”. La fedeltà da sempre al valore della vera interetnicità (non basta conoscere l’altra lingua o iscrivere i propri figli qualche anno alla scuola “dell’altro” per essere interetnici) garantisce l’intera comunità di lingua italiana sul suo ruolo, sia all’interno della lista Rösch/Verdi, sia verso l’esterno. Al nostro fianco, mai un passo indietro. I processi decisionali al nostro interno, come anche quelli partecipativi che abbiamo attivato in questi ultimi cinque anni in città, non hanno mai chiesto a nessuno quale fosse né la sua appartenenza, né la sua provenienza. Né queste hanno avuto pesi diversi nell’ascolto e nella partecipazione. Come carta d’identità personale, al nome scritto sul campanello abbiamo preferito da sempre i valori che ognuno porta con sé. Su questi si fanno le battaglie politiche, su questi ci si misura. Su questo vogliamo costruire l’opzione di un futuro per tutte/i le/i cittadine/i della nostra città».













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