Solland, fumata nera: i soldi non ci sono 

Scaduti i termini, ma il gruppo brasiliano non ha versato i 9,2 milioni. Intanto proseguono le procedure di spegnimento


di Simone Facchini


MERANO. Torna grigio, anzi nero il cielo sopra il futuro della Solland Silicon. Gli entusiasmi per l’acquisto dello stabilimento di Sinigo fallito oltre un anno e mezzo fa da parte di un gruppo brasiliano, con tanto di firma di accordo vincolante, appassiscono alla notizia del mancato arrivo dei soldi per l’acquisizione, 9,2 milioni. Il termine per il versamento scadeva a un mese di distanza dall’asta attraverso la quale la fabbrica era stata assegnata ai sudamericani. E cioè il 15 giugno. Nell’ultimo finesettimana i responsabili della procedura di fallimento, la giudice Francesca Bortolotti e i curatori - l’avvocato meranese Bruno Mellarini e il professor Luca Mandrioli di Modena - hanno aspettato invano. «Nei prossimi giorni – conferma Mellarini – analizzeremo il punto della situazione per decidere quale strada seguire». La speranza, che si riduce di giorno in giorno, è che comunque pur con ritardo gli acquirenti versino la somma pattuita. Si escludono altre aste, le sei procedure competitive già bandite - si era partiti da 29,6 milioni - sono ritenute sufficienti. Mentre all’orizzonte non c’è traccia di altre offerte. Potrebbe essere l’ultima occasione per riesumare l’idea di una cooperativa costruita attorno ai lavoratori, ma bisogna fare presto, prestissimo, perché nel frattempo l’iter di spegnimento degli impianti va avanti. La Provincia, responsabile delle procedure in base alla direttiva Seveso in materia di sicurezza dei siti industriali, ha messo in preventivo un conto da una decina di milioni di euro. A coordinare le operazioni c’è la Memc, che possiede le conoscenze necessarie. Con tutta probabilità i soldi spesi, salvo colpi di teatro, la Provincia non li rivedrà. Lo svuotamento definitivo del clorosilano, la sostanza pericolosa che le impone di intervenire, è prevista per la fine di ottobre. Ma se qualcuno volesse farsi avanti per acquistare lo stabilimento per riattivarlo dovrebbe farlo ben prima. Più passa il tempo, più si configura uno scenario da sito industriale dismesso. Con tutti gli annessi e connessi.

Fatto il suo compito, la Provincia tornerà dietro le quinte. E a disegnare la configurazione del futuro dell’area, a quel punto, dovranno essere gli amministratori comunali. Per inciso, sulla vicenda la giunta si era già divisa. Attirandosi parecchie critiche, il sindaco Rösch ragionando in termini di sicurezza ha più volte ribadito che vedrebbe con favore un futuro non industriale dell’area, ipotizzando una zona produttiva. Di ben altra idea gli assessori Zanella e Zaccaria. Forti perplessità sono state espresse anche dalla Svp. Non da ultimo perché, certificazioni in essere a parte, l’investimento in un’eventuale bonifica e in una riconversione potrebbe assumere proporzioni-monstre sul piano economico, un macigno per le casse municipali. Senza dimenticarsi dell’aspetto occupazionale: dopo il parziale esodo di questi anni, un’ottantina di persone stanno ancora vivendo una situazione di precarietà che, con la chiusura dello stabilimento, si aggraverebbe.

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