«Solland, il Mise sia chiaro con gli investitori cinesi» 

La fabbrica di Sinigo. La denuncia di Raffaele Falasca, ex dipendente e rappresentante sindacale «Che fine ha fatto l’apertura del ministero al piano industriale che è stato presentato?» 



Merano. «Gli investitori cinesi si chiedono: perché se nei rappresentanti del governo italiano abbiamo trovato apertura, l’affare resta precluso?». Ex dipendente della Solland Silicon, per un frangente anche responsabile della rappresentanza sindacale interna, Raffaele Falasca ha vissuto l’ultima annata della fabbrica di Sinigo in prima linea. Ha un nodo in gola che non riesce a sciogliere, quello delle recriminazioni per la piega che ha preso la vicenda quando, sostiene, sarebbe bastata la volontà politica per riattivare lo stabilimento, riprendere la produzione e garantire nuovi posti di lavoro. «E oggi, in piena emergenza coronavirus con tutto il suo drammatico portato sull’economia, le recriminazioni sono ancora maggiori» dice Falasca che da tempo punta il dito contro il comportamento delle autorità locali, il Comune per le sue dichiarazioni e la Provincia per le decisioni. Ma sul caso dell’ultimo investitore, spuntato fuori tempo massimo rispetto alle aste, coinvolge anche il ministero dello Sviluppo economico. E lo fa snocciolando alcune tappe cruciali degli ultimi mesi. «Di questi investitori cinesi se ne parla sin dallo scorso autunno. Sono rappresentati da Ren Jianxin, già presidente della Pirelli. Un nome di per sé autorevole, inoltre la loro credibilità è accertata dai percorsi istituzionali che hanno osservato, di cui ho traccia. Il 5 dicembre hanno ottenuto un incontro all’ambasciata italiana in Cina nella quale hanno manifestato formalmente il loro interesse ad acquisire la Solland, cinque giorni dopo hanno presentato un piano industriale. Quindi è stata coinvolta l’ambasciata cinese a Roma ed è stato richiesto un incontro al Mise che di quel piano era stato messo al corrente a gennaio. Il ministero sulle prime ha tergiversato, il 14 febbraio infine si è detto disponibile al confronto».

Nel frattempo, fra scioperi bianchi e proteste, alla Solland proseguiva lo svuotamento dei clorosilani diretto dalla EcoCenter, in vista della consegna del “pacchetto” alla Al-Invest, la società locale di Auer e Ladurner che ha acquisito terreno e stabilimento con il vincolo di bonificarlo almeno per il 70% della superficie. «A febbraio esplode la pandemia, il confronto si tiene in videoconferenza» prosegue Falasca «e il Mise apprezza il progetto. Gli investitori garantiscono che la quasi totalità della produzione sarebbe dirottata verso le esigenze del mercato cinese dei semiconduttori, dove non si trova una purezza del prodotto pari a quella garantita da Sinigo».

Secondo Falasca, il vice capo di gabinetto del ministro Giorgio Sorial avrebbe dato conferma di questo concreto interessamento ma rimpallando le responsabilità della decisione alla Provincia. «La Al-Invest, titolare dello stabilimento, in effetti ha le mani legate senza un intervento della Provincia. La cui posizione, contraria alla ripartenza della produzione, è ampiamente conosciuta. E allora a cosa serve il Mise che si dichiara disponibile? E il ministro Di Maio che porta la Cina sul palmo di mano non dice nulla?». Per adesso di certo c’è, sul piano giuridico, un’asta fallimentare che ha assegnato i beni ex Solland alla Al-Invest.

Nel frattempo lo svuotamento dei clorosilani va avanti, avvicinandosi alla data della conclusione delle operazioni. «Quello che serve è chiarezza. Sono convinto che il gruppo interessato è pronto a investire e a ripartire con tutti i riflessi occupazionali e di indotto sul territorio che in questo momento sarebbero oro colato. Il ministero dice di aver gradito il piano industriale. Al netto dell’interrogazione parlamentare alla quale il governo sarà chiamato a rispondere e all’opera dell’autorità giudiziaria, serve un’assunzione di responsabilità da parte del Mise: se la partita è da ritenere chiusa, che lo dica senza indugi e prese di posizioni ondivaghe». SIM

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