Tappeiner, cinquanta letti-Covid 

Il sistema sanitario. L’abnegazione del team che cura i malati per i quali è necessario il ricovero ospedaliero: «Turnover continuo di pazienti Siamo pronti ad aumentare il numero di accoglienze, però ci sono dei limiti e non sono lontani. Numeri triplicati rispetto a primavera»


Simone Facchini


Merano. «Ciò che più mi ha stupito, nell’esperienza che stiamo vivendo in ospedale, è la generosità del team che si dedica ai pazienti Covid. Medici di diversi reparti e specialità, infermieri, fisioterapisti, personale ausiliario: si è creato uno straordinario spirito di squadra, che mi ha fatto riscoprire quanto chi lavora per la salute altrui sia davvero animato da qualcosa in più dello stipendio a fine mese». Marco Tardivelli, specialista in geriatria, ligure («sposato e quattro figli») lavora da tre anni al Tappeiner. È il braccio destro di Christine Kirchlechner e Patrizia Raffl, coordinatrici del team Covid. «Il fatto è che i pazienti continuano ad arrivare. Alle dimissioni di chi guarisce corrispondono nuovi arrivi».

Dottore, ci fa il quadro della situazione?

Al Tappeiner i posti letto per i pazienti colpiti dal virus che necessitano di cure ospedaliere (senza considerare i più gravi, intubati in Terapia intensiva, ndr) sono 50, distribuiti in tre reparti Covid fra loro coordinati: 20 in Geriatria 1, altrettanti in Geriatria 2, cinque posti in Riabilitazione che sono stati raddoppiati nei giorni scorsi. L’occupazione è pressoché totale, il turnover senza soluzione di continuità. Pochi giorni fa è stata raggiunta la soglia dei 50, poi ci sono state delle dimissioni e si va avanti oscillando. L’ospedale è pronto ad aumentare i numeri, però ci sono dei limiti e non sono lontani.

Chi viene ricoverato in questi reparti?

Pazienti Covid sintomatici con polmonite bilaterale. Ma anche pazienti con altre patologie che abbisognano di assistenza ospedaliera e in cui il tampone eseguito all’accesso rileva l’infezione. Per questo il team Covid è formato da personale multidisciplinare.

Qual è l’età dei pazienti ricoverati?

Il più giovane, ricoverato per altra patologia ma positivo al virus, 17 anni. Fra chi necessitava di cure ospedaliere ricordo un trentacinquenne. La maggior parte dei ricoverati riguarda over 60. Ma il virus non guarda in faccia a nessuno e può avere effetti gravi in ogni fascia d’età adulta. Una persona anziana con più patologie potrà subire maggiori contraccolpi. Ma la presenza di altre patologie non è garanzia di un quadro clinico peggiore, ed è vero anche al contrario: essere sani non significa per forza che gli effetti del virus saranno lievi.

Quanti casi da voi gestiti si aggravano a tal punto da richiedere il passaggio in Terapia intensiva?

Nell’ultimo periodo, due-tre casi alla settimana. Ci conforta il fatto che rispetto a primavera abbiamo accumulato parecchia esperienza che ci consente di agire con più efficacia. Prendendo la malattia per tempo e con le adeguate terapie possiamo evitare peggioramenti.

A proposito di terapie: con un linguaggio non specialistico, ci può spiegare quali protocolli si osservano nel trattare i pazienti?

In prima battuta effettuiamo un inquadramento dello stato generale e del compenso respiratorio, con immagini del torace, esami del sangue e valutazione clinica. In sostanza, valutiamo quanto i polmoni sono in grado di ossigenare il sangue e di conseguenza viene fornita la quantità di ossigeno necessaria: con i “tubicini”, con la maschera, con il casco in conformità delle esigenze. L’ossigenoterapia è accompagnata dalla somministrazione di anticoagulanti e a seconda dei casi di cortisone o altri farmaci. Il paziente resta costantemente monitorato. Abbiamo capito che la polmonite da Covid, che attacca entrambi i polmoni, all’inizio può manifestarsi anche con sintomi contenuti. Però la situazione può precipitare in modo rapido e intervenire con tempestività è cruciale.

Si è parlato e si parla tanto di vari metodi di cura. Fra gli altri, del plasma iperimmune.

In linea generale, a Merano usiamo tutto quanto viene utilizzato nel resto del mondo. È pur vero che nel mondo scientifico non ci sono tante certezze, una situazione dovuta al fatto che si sono dovute dare risposte terapeutiche in tempi molto stretti quando per i test sui farmaci di norma ci vogliono anni. Sul plasma iperimmune, così come su altri metodi, posso dire che il nostro team mantiene sempre un occhio attento sugli ultimi approcci terapeutici ed è pronto ad attrezzarsi. Ma non si può fare sperimentazione sulla pelle delle persone.

Quanto rimane in reparto un paziente Covid, sempre escludendo il ricorso alla Rianimazione?

Da un minimo di 5-7 giorni a 2 settimane, 3-4 per i casi più complessi.

Rispetto a primavera, qual è la reazione del sistema-Tappeiner?

Premetto che ci troviamo ad affrontare numeri triplicati rispetto alla prima ondata. Ma questi ultimi mesi hanno consentito di prepararci. L’ospedale, entro certi margini, è pronto ad aumentare i posti letto dei reparti Covid. A confronto della scorsa primavera, il bagaglio acquisito permette all’ospedale di non doversi completamente blindare. Alcune attività sono state rallentate e delle prestazioni non urgenti ripianificate, ma il sistema assorbe l’urto in modo più efficacie.

Quante persone operano in un turno Covid?

Al momento una dozzina per tre turni giornalieri. Medici delle diverse specialità, infermieri, ausiliari. E non dimentichiamoci degli addetti alla pulizia: più che mai preziosi, sappiamo quanto l’igiene sia un presidio fondamentale nel contrasto alla diffusione del virus. Addetti che in reparto sono esposti al contagio quanto i sanitari. Poi i fisioterapisti la cui attività ambulatoriale è stata ridotta, che ci aiutano anche in fasi delicate alle quali chi immagina il nostro lavoro dall’esterno pensa di meno. Per esempio alla nostra svestizione, momento in cui è potenzialmente più facile entrare in contatto con il virus: ci vuole cautela a togliere la “bardatura” che ci protegge durante tutto il turno, e lo facciamo dopo tante ore di impegno sotto pressione, stanchi fisicamente e psicologicamente.

Lo screening a livello provinciale ha “smascherato” l’1% di positivi asintomatici.

Un dato per certi versi contenuto. Si parla tuttavia di circa 3500 persone. Se si pensa che, secondo i calcoli, ciascuna di queste quotidianamente in media entra in contatto con cinque persone e ne infetta un paio, averle individuate e isolate può dare risultati notevoli nel contenimento del contagio. Un contributo aggiuntivo, che non sostituisce ma integra la necessità di continuare a osservare le ormai regole basilari note a tutti: uso corretto delle mascherine, lavarsi le mani, limitare i contatti.













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