Il racconto

«Mi sveglio con l'incubo di quei bambini morti: laggiù ho visto l'orrore»

Alidad Shiri, 31 anni, giornalista e scrittore afgano, in Alto Adige dal 2005 (vi arrivò legato sotto un camion) è stato a Cutro e racconta l’inferno del naufragio dei migranti


Valeria Frangipane


BOLZANO. «Siete nati dalla parte giusta del mondo, quella fortunata. Chi sale su quei barconi e ci mette i figli ha paura, ma non ha scelta. Sono coraggiosi sognatori di libertà. A me è andata bene, ma tanti altri non ce la fanno».

Parla così Alidad Shiri, 31 anni, giornalista e scrittore afgano, in Alto Adige dal 2005, che ieri è stato nostro ospite in redazione. È appena tornato da Cutro, ha lavorato giorno e notte per mettere in contatto le famiglie con i sopravvissuti alla strage del barcone affondato il 26 febbraio, le ha aiutate a riconoscere le vittime. «Erano più di 180 persone, 80 sono morte, tra loro più di 30 bambini, 80 sopravvissute, le altre disperse. Ma i conti sono a spanne. Erano quasi tutti afgani, giovani costretti ad andarsene perché ex soldati dell'esercito, diventati bersaglio dei talebani. E poi donne colte, istruite, che hanno sfidato il fondamentalismo. Impossibile per loro restare. La maggior parte scappava da tempo. Prima Pakistan, poi Iran, poi Turchia ed il sogno di un qualcosa che li portasse in Europa. A bordo anche quattro pakistani, un'iraniana, un palestinese».

Alidad è andato in Calabria per cercare suo cugino, 17 anni, Atiqullah Khalili, poi ha capito che c'era bisogno di lui «servivano interpreti» ed è rimasto. «Lavoro a Merano come educatore al Kinderdorf, mi hanno dato una settimana. Mi hanno detto "vai". Il nome di mio cugino è ancora nell'elenco dei dispersi. Era con un amico, che si è salvato. Sono andato a trovarlo in ospedale, sotto shock. Gli è morta la sorella, la teneva per mano ed è scivolata via. Parlare con queste persone, toccare lo strazio è stata un' esperienza durissima. E sono abituato all'orrore. Da piccolo vedevo i cadaveri per strada, ma in Calabria è stato peggio. Di notte mi sveglio con gli incubi».

La strage di migranti: l’inferno di Cutro nel drammatico racconto di Alidad Shiri

Alidad Shiri, 31 anni, giornalista e scrittore afgano, in Alto Adige dal 2005, ieri è stato nostro ospite in redazione. È appena tornato da Cutro, ha lavorato giorno e notte per mettere in contatto le famiglie con i sopravvissuti alla strage del barcone affondato il 26 febbraio, le ha aiutate a riconoscere le vittime.

Alidad a dieci anni, dopo aver perso tutta la famiglia nel genocidio, è fuggito dall'Afghanistan. Ha attraversato Pakistan, Iran, Turchia e Grecia ed è arrivato in Alto Adige legato sotto un camion. Ma quel che ha visto a Cutro con le bare, i cadaveri da riconoscere, le famiglie da avvisare è stato molto peggio.

La spiaggia ed il barcone

«Sono stato su quella spiaggia, volevo vedere, capire come è potuto accadere. Il motore è a pochi metri da riva. Tra la sabbia scarpe, giochi, peluche, tutine di bambini. La speranza che si è schiantata. Il barcone si è incagliato e disintegrato prima dell'alba, era buio. Tanti avevano mandato un messaggio a casa "Ce l'abbiamo fatta". Ma non è stato così. Sono morti a dieci metri da riva. Hanno annaspato nel terrore e sono annegati. Le donne afgane non sanno nuotare e i bimbi neppure. E poi provate a immaginare cosa succede se 180 persone finiscono in acqua gelata con il mare in tempesta, di notte. Mi sveglio di soprassalto con l'immagine di una bambina recuperata senza più vita, aveva bocca e occhi spalancati».

Al telefono con le famiglie

«Ho fatto tutto il possibile per mettere in contatto le famiglie con la polizia scientifica. C'erano file di cadaveri senza nome che andavano riconosciuti. Madri, padri che ci chiamavano disperati e ci mandavano le foto, noi giravamo loro alcuni video fatti sul barcone. Tanti sono stati riconosciuti dai vestiti che indossavano. Giorni e giorni in continuo contatto con la disperazione, costretti a dare quasi sempre solo cattive notizie. Sole tre volte mi è successo di poter dire che la figlia, il figlio, il fratello ecc. ce l'avevano fatta. E in quel caso le urla sono state di gioia. Ho parlato anche con degli scampati. Padre, madre, due figli si sono attaccati ad un materassino che si erano tenuti stretti a bordo. Il padre non l'ha mai mollato, si sono aggrappati e sono riusciti a percorrere i pochi metri fino a riva».

La solidarietà

«Immensa quella della popolazione e dei pescatori. Non abbiamo pagato un taxi, un hotel, un ristorante, un fiore. I poliziotti portavano i giochi dei loro figli vicino alle bare dei bimbi, li ho visti piangere. La Croce Rossa è stata grandissima come grande è stata l'associazione Sabir. Non posso dire lo stesso di importanti associazioni umanitarie. La presidente del consiglio, Giorgia Meloni, non si è mai avvicinata ad un familiare. O almeno noi non l'abbiamo vista».

Oggi pomeriggio l'incontro.

Oggi pomeriggio alle 18 Alidad Shiri racconterà il dramma della strage nella sala dell'Antico Municipio in via Portici. Chiara Rabini - assessora alla Cultura e Politiche di integrazione - dice che Alidad grazie alla conoscenza della lingua ha svolto un ruolo fondamentale a Crotone come mediatore tra i naufraghi e i familiari, tra le istituzioni e le organizzazioni attive nei soccorsi. Ricordiamo a latere che Alidad Shiri ha pubblicato la storia della sua vita nel libro "Via dalla pazza guerra".













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