La storia

«Io come Eriksen, il crollo in campo e il miracolo» 

Il racconto di Davide Moling. Insegnante, 34 anni di La Valle, nel 2010 ha rischiato di morire  «Stavo giocando un match di calcio, ho avuto un arresto cardiaco. Mi ha salvato un avversario»


Jimmy Milanese


LA VALLE. Vedere in diretta, vissuta da altri, un’esperienza drammatica che ti ha cambiato la vita non può che colpire. A Davide Moling, 34enne di La Valle, insegnante di ginnastica con laurea in scienze motorie, è accaduto pochi giorni fa, quando si trovava al mare con la famiglia e, di ritorno dalla spiaggia, ha visto in tivù Christian Eriksen, impegnato agli Europei di calcio, cadere sul campo di gioco per un arresto cardiaco. “Ero al mare a Bibione con la mia famiglia - racconta Moling - torno dalla spiaggia e vedo esattamente quello che è accaduto a me il 3 aprile 2010. Un giorno che mai dimenticherò, anche se molti particolari di quanto ho vissuto sono fumosi nella mia mente”.

Cosa le è capitato?

“Giocavo terzino nella formazione del San Martino in Badia, giocavamo con il Villabassa e al 65° minuto ho stoppato la palla con il petto, ho provato a portarla avanti e sono crollato sul prato. Da quel momento, il vuoto e il mio racconto si affida a quello che poi i miei compagni di squadra mi hanno detto. Per capire la mia vicenda bisogna fare un passo indietro”.

Ok, facciamolo.

“Prima di quella partita ero stato ricoverato all’ospedale di Brunico per accertamenti. Avevo febbre e mi avevano trovato un virus. Dopo il controllo sono ritornato a casa, sono anche andato ad allenarmi, anche se ero stanco. Attribuivo quello stato di malessere generale al fatto di essere rimasto in ospedale per una settimana”.

Tutti stretti attorno a Eriksen

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Quindi, è arrivata la partita...

“Sì, anche se prima di quel sabato avremmo dovuto giocare una partita infrasettimanale, per mia fortuna rinviata. Alla fine abbiamo giocato contro il Villabassa. Da Verona, dove studiavo Scienze motorie, ero salito in Badia. Ricordo che mangiai un bel po’ di lasagne a pranzo, poi andai a trovare la mia compagna, oggi mia moglie e, infine, al campo per la partita. Anche lì, ricordo quella voglia di bere sali minerali”.

Senta, perché ha detto che l’altra partita per sua fortuna venne rinviata?

“Perché nel Villabassa in porta giocava Egon Seyr, la persona che poi mi avrebbe salvato la vita. Egon Seyr è per me quello che per Eriksen è stato il compagno Simon Kjaer. Egon allora era un mio avversario, ora è uno dei miei migliori amici”.

Cosa accadde dal momento del crollo in campo?

“I miei compagni attorno non capirono subito cosa stesse accadendo. Seyr, il portiere dell’altra squadra, invece, corse subito verso di me e mi tirò fuori la lingua dalla bocca, poi praticò il massaggio cardiaco, mentre il presidente della mia squadra chiamava casa. Lui sapeva che ero stato ricoverato e all’arrivo dei sanitari venne loro spiegato cosa mi era successo”.

Quindi, la trasportarono subito all’ospedale?

“In realtà no. I sanitari defibrillarono il cuore, prima di trasportarmi in elicottero all’ospedale di Bolzano. Lì sono rimasto in coma per circa quattro giorni, poi sono uscito dall’intensiva e sono stato trasferito in cardiologia, dove sono stato per altri sei gironi. A quel punto, c’era da decidere cosa fare. Insomma, prendere la decisione su come andare avanti”.

In che senso?

“I medici erano del parere che sarebbe stato necessario impiantarmi un defibrillatore, anche se io ero di parere contrario. Prima di questo tipo di operazione, che mi avrebbe cambiato la vita per sempre, ho chiesto contro il loro parere di attendere qualche giorno per capire se il cuore si sarebbe normalizzato. E così è accaduto in effetti. Dopo tre settimane, il cuore si è rimpicciolito, dopo esser raddoppiato in volume a causa dell’arresto. L’infiammazione pian piano stava passando”.

Una decisione coraggiosa e alla fine giusta.

“Sì, devo dire di sì. Dopo qualche tempo, ha fatto il test al cicloergometro sulla bicicletta che fa capire come sia messo il cuore. Stavo migliorando. Mi sono allenato a casa da solo, ho iniziato a ricostruire la mia condizione fisica, sapendo che non avrei dovuto superare i 120 battiti al minuto. Alla fine ho deciso di fare il test verità, anche in quel caso di mia iniziativa”.

In che senso?

“Sempre il test al cicloergometro, ma questa volta fino al completo esaurimento delle energie. Volevo vedere se il mio cuore avrebbe retto il massimo sforzo di cui ero capace. Dovevo darmi una risposta e capire se avrei mai potuto riprendere a praticare sport. Ogni anno faccio questo test al reparto di cardiologia presso l’ospedale di Bolzano. Hanno fatto un lavoro fantastico”.

È tornato a giocare a calcio?

“Sì, prima ho preso la laurea magistrale a Bologna, poi nel 2019 sono ritornato a giocare a calcio con la squadra del La Valle e, per pura coincidenza, dall’altra parte come portiere avversario ho ritrovato lui, Egon Seyr, l’amico che mi ha tenuto in vita”.

Eriksen: luminare cardiologia 'potrebbe tornare a giocare'

(ANSA) - ROMA, 14 GIU - "Carriera finita per Christian Eriksen? Non è detto, bisogna vedere la patologia. Se è curabile il giocatore potrebbe tornare a giocare". Questo il parere di Bruno Carù, specialista in cardiologia e medicina dello sport considerato un luminare nella materia. "Sicuramente - spiega Carù ai microfoni di Radio Anch'io sport - c'era qualcosa che non andava bene nel cuore del giocatore prima della partita, già mentre era negli spogliatoi prima della partita c'era qualcosa che non andava bene, lo stress non c'entra niente. Non può succedere per caso quello che è successo. Il cuore non funziona così". In passato Carù si occupò del caso del giocatore nigeriano Nwankwo Kanu ai tempi in cui giocava nell'Inter: "quella era una situazione completamente diversa, aveva una cardiopatia congenita". (ANSA).













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